domenica 24 febbraio 2008

PEDAGOGIA: DEMOCRATICA O LIBERTARIA?

Colloquio tra Francesco Codello e Hugues Lenoir

Nel corso della Conferenza internazionale sull’Educazione democratica, tenutasi lo scorso settembre in Brasile, a Mogi das Cruzes (San Paolo), Hugues Lenoir, docente e ricercatore all’Università di Paris X Nanterre, si è incontrato con il nostro collaboratore Francesco Codello, redattore di Libertaria e studioso della pedagogia libertaria. Ecco il testo del loro colloquio.

Dopo Summerhill

Hugues LenoirUna prima domanda, Francesco: qual è l’origine di questa corrente delle scuole democratiche, dov’è nata e per iniziativa di chi?

Francesco Codello – Nella sua origine storica, si può dire che la prima scuola democratica mai istituita sia quella di Summerhill, creata nel 1921 da Alexander Neill in Inghilterra.

All’origine c’è Summerhill?

Sì, e dopo Summerhill, sempre in Inghilterra, c’è stata un’altra esperienza importante, una scuola che si chiamava Dartington Hall School. Io credo che, pur senza riconoscersi in quella tradizione anarchica di altre esperienze in materia di educazione, in Inghilterra, ci sia un’affinità con modello di scuola, in parte libertaria e in parte democratica, che si è sviluppata dal 1900.

Questa corrente delle scuole democratiche inglesi si è affermata abbastanza nel mondo, ci sono altri paesi che la seguono in quel metodo pedagogico?

Sì, penso che sia così; certo ogni paese ha caratteristiche proprie, tradizioni specifiche. Si può dire che quelle scuole si sono sviluppate in base alle caratteristiche dei paesi d’origine.

E oggi quali sono i paesi più rappresentativi, i più impegnati in questo movimento delle scuole democratiche?

Attualmente mi pare che sia Israele il paese dove il movimento è più importante. Lì ci sono ventisei scuole già attive, oggi, ma se ne trovano anche in Inghilterra e negli Stati Uniti e in Canada. Ce ne sono pure nella Corea del Sud e in Giappone, in Tailandia e in Indonesia, in Nuova Zelanda e in Australia, in India, in Nepal, in Costa Rica, in Equador, in Brasile e in Guatemala, in Cile e in Colombia, e, ovviamente, in Europa: in Spagna e in tutta l’Europa dell’Est, a Budapest, in Polonia, in Ucraina, a Mosca…

E in Francia e in Italia?

Be’, in Italia no, non c’è nemmeno un’esperienza di scuola democratica. In Francia io credo che l’esperienza più significativa sia stata quella di Bonnaventure, ma Bonnaventure è una scuola libertaria.
Per l’Italia e per una parte della Francia, ciò che spiega la scarsezza di esperimenti del genere è il posto che occupa la scuola laica di Stato, che in effetti ha svolto un ruolo importante nella lotta contro l’ingerenza della Chiesa e della religione cattolica, e per questo molti progressisti l’hanno appoggiata, senza preoccuparsi di sviluppare un modello alternativo, purtroppo confondendo il pubblico con lo statale.

Anche le pratiche delle scuole Freinet sono forse abbastanza vicine a quelle esperienze?

Mi pare di sì, ma non del tutto, perché le scuole Freinet non hanno sviluppato la democratizzazione e la partecipazione diretta degli studenti alla vita scolastica, nel senso della formulazione delle decisioni. Nella maggior parte dei casi, la cooperazione si ferma davanti alla porta dell’aula e investe la sfera della didattica ma non va ad intaccare la gestione della vita scolastica.

Democrazia diretta e numeri

Quanti studenti coinvolge il movimento in tutto il mondo?

Nel mondo non saprei, ma posso dire che le dimensioni di ogni scuola non sono molto grandi e mi pare che questo sia un bene, perché permette una relazione diretta e di qualità tra le persone, cosa che non è possibile se hai troppi allievi.

Per questo c’è un rapporto tra la «democrazia diretta» nella scuola e le dimensioni della popolazione scolastica?

Sì, sì. C’è senz’altro un rapporto importantissimo, perché la partecipazione diretta è possibile solo in una dimensione limitata.

Quali sono i principi pedagogici di queste scuole democratiche?

Non mi pare che abbiano una teoria pedagogica di riferimento, ma s’ispirano a varie concezioni, come quella di Janusz Korczack e anche a quella dell’anarchico Francisco Ferrer, di Carl Rogers come di Alexander Neill. Negli USA esiste ancora un movimento della scuola ispirato a Ferrer. Si può dire che le modalità caratteristiche di queste scuole siano quelle che riassumerò brevemente così: tutte le decisioni sono prese con la partecipazione di tutti coloro che vivono nella scuola.

Tutti quelli che ci vivono, vale a dire i non docenti, gli insegnanti, gli studenti e i genitori?

Sì, tutti quelli che ci lavorano e ci studiano, i genitori non sempre, ma solo in certi casi. Riguardo a questo primo principio ci sono differenze tra le scuole: in alcune si decide tutto a maggioranza qualificata e in altre si decide all’unanimità. Una scuola dove ogni decisione è presa all’unanimità, per esempio, è la Carl Rogers di Budapest; una dove si decide a maggioranza è quella di Summerhill. Ma io penso che il concetto che si svilupperà di più è quello dell’unanimità, che è applicabile dovunque: se si trova una minoranza che non sia d’accordo con una certa decisione, non fanno propria la decisione che si sta per prendere, se è fondamentale lasciano perdere.
Questo modo di procedere è indubbiamente libertario, perché rimanda a un contesto più ampio e più ricco una questione che non può limitarsi a decisioni puramente formali. Si tratta in sostanza di fare delle scelte, ma anche di rispettare le ragioni di una minoranza. Deve essere un’azione volontaria e libera, che non può mai essere imposta.

Una minoranza che si astiene in modo amichevole.

Amichevole: si continuerà a discutere, a riprendere la discussione, insomma. Questo è il primo principio. Il secondo riguarda la frequenza ai corsi, che non è obbligatoria.

L’insegnamento non è obbligatorio?

No, non lo è. Ma anche di questo principio ci sono differenti applicazioni a seconda del luogo. Sono stato in visita al liceo autogestito di Oslo, che è stato fondato negli anni sessanta da un gruppo di studenti indipendenti. In quella scuola, per esempio, una parte dei corsi, del programma, è destinata a tutti ed è obbligatoria, ma la parte prevalente è facoltativa e libera. Ogni studente si fa un programma di studi personalizzato. C’è un modello di scuole democratiche molto radicale, che si ispira all’esperienza di Sudbury Valley (www.sudval.org) nel Massachusetts: lo si ritrova applicato in Germania e in molti altri paesi: non esiste la frequenza obbligatoria, non c’è un orario delle lezioni, tutto si svolge in base alle decisioni prese ogni mattina, secondo le esigenze che emergono dalla discussione collettiva. Questo è il modello radicale.

Più sorridenti, più contenti

Mi pare che il congresso di Berlino nel 2005 abbia votato questa mozione: «Gli studenti apprendono quando vogliono, dove vogliono, con chi vogliono.»

È il principio che riassume un po’ lo spirito delle scuole democratiche. Gli studenti hanno il diritto di scegliere in totale libertà con chi, che cosa, quando e come studiare.

Nella costruzione del curriculum, del programma, c’è sempre un consiglio di insegnanti o di animatori che dica agli studenti perché sia meglio cominciare con questo o con quello?

Anche in questo caso ci sono metodi diversi. Devi sapere che la maggioranza di queste scuole non è statale: sono istituti privati che funzionano secondo regole proprie. Chi, però, vuole avere alla fine un riconoscimento o un diploma, deve sostenere un esame, non nella scuola ma con l’amministrazione statale, per attestare il livello raggiunto.

In genere i risultati degli allievi delle scuole democratiche sono altrettanto buoni, sono migliori?

Io credo che siano come nelle altre scuole, da questo punto di vista. Ci sono risultati eccellenti, altri meno buoni, ma non sta qui la differenza. Alla fine, quello che distingue gli allievi delle scuole democratiche è il fatto che chi ha vissuto la loro esperienza è senza dubbio più sorridente, più aperto, più abituato a confrontarsi con gli altri, a partecipare alle decisioni.

Il che significa che le scuole democratiche non sono solo democrazia pedagogica, ma anche scuole di democrazia sociale.

Si, è questo uno degli aspetti. Io la penso così: ritengo che quella pratica sociale sia importante per sviluppare una certa sensibilità; ma poi la si deve consolidare anche con altri principi, con altri valori che sono importantissimi, perché, come sappiamo bene, la democrazia non è tutto.

L’obiettivo chiaramente espresso di queste scuole, mi pare, e tu l’hai detto in un’altra occasione, è che esse fanno la differenza tra «essere» e «dover essere».

Io lo interpreto così: è la mia lettura di queste esperienze in Europa, ma non è sempre così esplicito.

Ovvero?

Credo che sarebbe meglio costruirsi una teoria basata sull’esperienza diretta di queste scuole, e la teoria che io propongo dice che l’educazione libera, come la intendo io, ma io sono un anarchico, deve educare «a essere» e non a «dover essere». Nel senso in cui tutte le filosofie dell’educazione hanno lo stesso principio di fondo, l’idea preconfezionata, di conformare l’uomo e la donna. L’uomo e la donna devono essere come li vuole lo Stato, come li vuole la Chiesa, o il comunismo, il fondamentalismo, il capitalismo..

Vogliono un « uomo nuovo» pre-pensato e non un individuo libero e autonomo? In quei sistemi la scuola conforma l’individuo a un progetto costruito autoritariamente.

Sì, a un progetto di società autoritaria. Io credo che l’importanza dell’esperienza di queste scuole democratiche stia nello sviluppare le potenzialità di ogni studente, di ogni persona. Ma anche degli insegnanti, dei genitori, che la vivono, che si confrontano, che imparano a comunicare. Ognuno può decidere che cosa vuol diventare e soprattutto può sviluppare quanto ha di sensibilità, come attitudine, come progetto di vita.. Perché io credo che tutti, anche i bambini più piccoli, abbiano un progetto di vita.

Qual è la differenza con le scuole libertarie? Anche queste esprimono l’idea di permettere a ciascuno di costruirsi, di fabbricarsi per diventare «un uomo fiero e libero».

Sì, certo, ma la differenza sta nel fatto che le scuole libertarie hanno un progetto più ampio, che comprende anche l’uguaglianza economica, sociale, culturale, mentre le scuole democratiche tutto questo non lo esplicitano. Si può dire allora che in queste scuole la sensibilità sociale si coltiva o si acquisisce soltanto con l’esperienza diretta, ma non nel contesto di una riflessione più ampia sulla società. La differenza fondamentale è questa.

Questo non significa anche che le scuole libertarie devono fare molta attenzione in modo da permettere ai bambini di «essere» e non riprodurre modelli di normalizzazione, in altre parole, «costringerli» a diventare libertari. Se vogliamo che i giovani si realizzino secondo le proprie potenzialità, non si può dare un giudizio a priori sul loro divenire ideologico.

Esattamente.

È una scommessa molto difficile per noi, questa.

Sì, è vero.

Si scommette sulla libertà prodotta dalla libertà?

Sì. Si può dire così, è quello che penso. Lavorare con la corrente delle scuole democratiche è importantissimo per gli anarchici che hanno una sensibilità pedagogica, che s’interessano a questi problemi, perché si può avere un ruolo importante. Si può fare in modo che queste esperienze si trasformino e si evolvano, da un’assimilazione di tecniche pedagogiche democratiche verso tecniche e riflessioni che producano e moltiplichino valori sociali di libertà, di uguaglianza, di fraternità, di aiuto reciproco…

Se il capitalismo comincia a copiare

Quando si lavora con la rete delle scuole democratiche si ha probabilmente una funzione che è di contributo d’informazione ideologica e teorica, da trasmettere a questa corrente democratica che è di fatto assai poco ideologizzata.

Sì, è vero. Ma anche di critica. Serve a mettere sempre un punto interrogativo, a sollevare dubbi, in modo che chi vi agisce non accetti mai di vivere in una ambiente definito, chiuso, in uno spazio che non sia aperto al mondo.

Il rischio, in queste scuole democratiche, è che il capitalismo si accorga della loro efficacia, che ne applichi i principi pedagogici per formare dirigenti, politici, generali…

Certo, certo. Sono uno strumento, un mezzo che va mantenuto sempre con caratteristiche il più possibile libertarie, per non permettere allo Stato e ai padroni d’impadronirsene. È questa la posta in gioco. .

Ci sono altre differenze importanti tra scuole libertarie e scuole democratiche?

Io penso che la scuola democratica sia una approssimazione che progredisce per gradi, un’evoluzione verso un modello libertario. È come l’anarcosindacalismo, che si impiega con l’azione diretta a formare persone che pretendono di diventare e di essere libere. Per gli anarchici è un mezzo per essere nella storia, come dico, ma anche contro la storia che altro non è che una costruzione sociale del pensiero borghese.

È un momento di transizione?

Sì, per non rinchiuderci nell’ideologia e per confrontarci sempre con gli altri, stando però sempre attenti a non finire ingabbiati nelle logiche del mondo autoritario.

Un’altra cosa interessante nelle scuole democratiche, per quanto riesco a capire, è che ci sono sì principi generali, ma non si dice mai che la scuola deve funzionare in questo o in quel modo, ogni scuola democratica ha un suo modo di funzionare: in un certo senso il movimento delle scuole democratiche accetta il principio del federalismo. Nello stesso tempo ha principi generali, valori che si applicano diversamente in ogni luogo, da qualsiasi parte.

Sì, sì.

Come sono organizzati gli incontri tra queste scuole?

Quando si riuniscono non c’è un programma precostituito, ma è deciso dai partecipanti, le decisioni sono prese all’unanimità. Nella pratica è un movimento molto libertario, che non ha la consapevolezza di esserlo, mi pare.

I partecipanti fanno pratica anarchica senza saperlo?

Sì, in qualche modo penso che sia così.


Intervista realizzata da Hugues Lenoir il 23 settembre 2007
(traduzione dal francese di Guido Lagomarsino)

Link: http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/332/25.htm


rivista anarchica
anno 38 n. 332
febbraio 2008

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giovedì 7 febbraio 2008

TESI - LA PEDAGOGIA LIBERTARIA

Ho aggiunto ai download una tesi presentata da Luca Dai presso l'Università degli Studi di Milano (facoltà di Medicina e Chirurgia - corso di laurea in Educazione Professionale): La Pedagogia Libertaria

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venerdì 1 febbraio 2008

L'ISTRUZIONE E' IGNORANZA


DAVID BARSAMIAN intervista NOAM CHOMSKY
Information Clearing House (ICH)

Estratto da Class Warfare, 1995, pp. 19-23, 27-31

DAVID BARSAMIAN: Uno degli eroi dell’attuale rinascita della destra... è Adam Smith. Lei ha fatto alcune ricerche abbastanza impressionanti su Smith, che hanno portato alla luce... un bel po’ d’informazioni che non stanno venendo fuori. Lo ha spesso citato esponendo la "vile massima dei padroni dell’umanità: tutto per noi e niente per gli altri".

NOAM CHOMSKY: Non ho fatto assolutamente nessuna ricerca su Smith. L’ho solo letto. Non c’è una ricerca. Basta leggerlo. E’ un precapitalista, una figura dell’Illuminismo. Disprezzava quello che chiameremmo capitalismo. Di Adam Smith si leggono dei frammenti, le poche frasi che si insegnano a scuola. Tutti leggono il primo paragrafo della Ricchezza delle nazioni, in cui parla di quanto sia meravigliosa la divisione del lavoro. Ma non molti arrivano al punto, centinaia di pagine più avanti, in cui afferma che la divisione del lavoro distruggerà gli esseri umani e trasformerà la gente in creature tanto stupide e ignoranti quanto possa esserlo un essere umano. E pertanto in ogni società civile il governo dovrà prendere delle misure per evitare che la divisione del lavoro giunga ai suoi limiti.

Egli fornì un’argomentazione a favore dei mercati, ma l’argomentazione era che in condizioni di perfetta libertà, i mercati porteranno alla perfetta parità. E’ questa l’argomentazione a favore perché Smith pensava che la parità di condizione (non solo di opportunità) fosse ciò a cui si dovrebbe mirare. E continua all’infinito. Offrì una critica devastante di quelle che chiameremmo politiche del Nord e Sud del mondo. Parlava dell’Inghilterra e dell’India. Condannò aspramente gli esperimenti britannici che si stavano compiendo e che stavano devastando l’India.

Smith fece anche delle osservazioni, che dovrebbero essere lapalissiane, sul modo in cui operavano gli stati. Ha sottolineato il fatto che fosse del tutto assurdo parlare di nazione e di ciò che al giorno d’oggi definiremmo "interessi nazionali". Ha semplicemente osservato en passant, perché era talmente ovvio, che in Inghilterra, il paese di cui parlava – e che rappresentava la società più democratica dell’epoca – i principali fautori della politica erano i "commercianti e i produttori" e questi si assicuravano che i propri interessi fossero, detto con parole sue, "curati in modo molto speciale", qualunque fosse la conseguenza sugli altri, tra cui il popolo inglese che, sosteneva, soffriva a causa delle loro politiche. All’epoca non aveva a disposizione i dati per provarlo, ma è probabile che avesse ragione.

Questa verità lapalissiana è stata definita, un secolo dopo, analisi di classe ma non c’è bisogno di arrivare a Marx per trovarla. E’ molto esplicita in Adam Smith. E’ così ovvia che può vederla anche un bambino di dieci anni. Perciò non l’ha messa in grande evidenza. L’ha solo menzionata. Ma è corretta. Se si legge per intero la sua opera, si coglie l’intelligenza dell’autore. Era una persona che veniva dall’Illuminismo. I motivi che lo spingevano erano l’assunzione che le persone fossero guidate dalla comprensione e da sentimenti di solidarietà, e dalla necessità di un controllo sul loro lavoro, in modo molto simile ad altri pensatori dell’Illuminismo e del primo Romanticismo. Faceva parte di quel periodo, l’Illuminismo Scozzese.

La versione di Smith che viene data al giorno d’oggi è semplicemente ridicola. Ma non ho dovuto fare nessuna ricerca per scoprirlo. Basta leggere. Se si è capaci di leggere lo si scopre. Ho fatto una piccola ricerca sul modo in cui viene trattato, e questa è interessante. Per esempio, l’Università di Chicago, il grande baluardo dell’economia del libero mercato, ecc., ecc., ha pubblicato un’edizione del bicentenario di questo eroe, un’edizione da studiosi con note ed introduzione a cura di un Premio Nobel, George Stigler, un indice corposo, una vera e propria edizione accademica. E’ quella che ho usato. La migliore edizione. La cornice erudita era molto interessante, compresa l’introduzione di Stigler. Con tutta probabilità Stigler non ha mai aperto La ricchezza delle nazioni. Quasi tutto ciò che ha detto del libro è totalmente falso. Sono passato attraverso una serie di esempi scrivendo su questo argomento, in Anno 501 ed altrove.

In certo qual modo però l’indice è risultato anche più interessante. Adam Smith è arcinoto per la sua difesa della divisione del lavoro. Basta dare un’occhiata a "divisione del lavoro" nell’indice e si trova una gran quantità di cose elencate. Ma ne manca una, e cioè la sua condanna della divisione dl lavoro, quella che ho appena citato. Per un motivo o per l’altro nell’indice manca. Si va avanti così. Io non chiamerei questa una ricerca perché si tratta di dieci minuti di lavoro, ma se si bada al sapere, allora è interessante.

Voglio essere chiaro su questo punto. C’è una buona cultura su Smith. Se si guardano gli studi seri su Smith, quello che dico non è una sorpresa per nessuno. Come potrebbe esserlo? Si apre il libro, lo si legge e salta proprio agli occhi. D’altro canto, se si guarda al mito di Adam Smith, che è il solo che giunge a noi, la discrepanza con la realtà è enorme.

Questo è tipico del liberismo classico in generale. I fondatori del liberismo classico, gente come Adam Smith e Wilhelm von Humboldt, che fu uno dei grandi esponenti del liberismo classico e che ispirò John Stuart Mill – noi li chiameremmo socialisti libertari, per lo meno questo è il modo in cui li ho letti. Per esempio Humboldt, così come Smith, dice: prendiamo in considerazione un artigiano che costruisce qualche bell’oggetto. Secondo Humboldt, se lo fa spinto da una coercizione esterna, come la paga, per il salario, noi possiamo ammirare ciò che fa ma disprezziamo ciò che è. D’altro canto, se lo fa partendo dalla libera manifestazione creativa di se stesso, spontaneamente, non spinto dalla coercizione esterna del lavoro salariato, allora noi ammiriamo anche ciò che è perché è un essere umano. Egli affermava che ogni sistema socioeconomico accettabile si sarebbe basato sul presupposto che le persone hanno la libertà di informarsi e di creare – poiché questa è la natura fondamentale degli esseri umani - in libera associazione con gli altri, ma certo non spinti dalle varietà di costrizioni esterne che giunsero ad essere chiamate capitalismo.

E’ lo stesso se si legge Jefferson. Visse mezzo secolo più tardi, per cui ha visto il capitalismo di stato svilupparsi e, naturalmente, lo disprezzava. Affermava che stesse portando ad una forma di assolutismo peggiore rispetto a quella contro cui ci si batteva. Di fatto, percorrendo tutto questo periodo, si nota una critica netta, chiarissima nei confronti di ciò che più tardi verrà chiamato capitalismo e senza dubbio di quella variante del capitalismo tipica del XX secolo, destinata a distruggere il capitalismo individuale, e persino quello imprenditoriale.

C’è una corrente secondaria a cui di rado si presta attenzione, ma che è altrettanto affascinante. Si tratta della letteratura della classe operaia del XIX secolo. Essi non avevano letto Adam Smith e Wilhelm von Humboldt, ma dicevano le stesse cose. Basta leggere i quotidiani pubblicati da quelle persone chiamate le "giovani operaie di Lowell", ragazze che lavoravano nelle fabbriche, dagli artigiani e da altri lavoratori che gestivano i propri giornali. E’ lo stesso tipo di critica. Ci fu una vera e propria battaglia combattuta dai lavoratori in Inghilterra e negli Stati Uniti per difendersi contro ciò che chiamavano il degrado, l’oppressione e la violenza del sistema industriale capitalista, che non solo li disumanizzava, ma abbassava drasticamente anche il loro livello intellettuale. Quindi si ritorna alla metà del XIX secolo e queste cosiddette "giovani operaie", ragazze che lavoravano nelle fabbriche di Lowell [Massachusetts], leggevano seriamente la letteratura contemporanea. Si accorsero che il punto essenziale del sistema era trasformarle in strumenti che sarebbero stati manipolati, degradati, maltrattati, e così via. E lottarono duramente contro di esso per molto tempo. Ecco la storia dell’ascesa del capitalismo.

L’altra parte della storia riguarda lo sviluppo delle grandi imprese, che è una storia di per sé interessante. Adam Smith non disse molto su di esse, ma ne criticò i primi stadi. Jefferson visse abbastanza a lungo per vederne gli inizi, ed era fortemente contrario ad esse. Ma lo sviluppo delle grandi imprese ha avuto luogo in realtà molto tardi nel XIX secolo, e nei primi anni del XX secolo. In origine le società esistevano come servizio pubblico. Le persone si riunivano per costruire un ponte e venivano associate dallo stato a questo scopo. Costruivano il ponte e la cosa finiva lì. Si riteneva avessero una funzione di interesse pubblico. Beh, negli anni ‘70 gli stati revocavano gli atti costitutivi delle società. Questi venivano concessi dallo stato. Non avevano nessun’altra autorizzazione. Erano fittizi. Gli stati revocavano gli atti costitutivi delle società perché non svolgevano una funzione pubblica.

[Cioè, prima la gente si associava liberamente per svolgere un lavoro di utilità pubblica limitato nel tempo. Questa era una "corporation" e lo Stato ratificava la cosa.

In seguito sono nate le "grandi corporation", che hanno sostituito le "corporation" tradizionali con il loro modello, ossia potenzialmente illimitate nel tempo e finalizzate al profitto, quindi non alla pubblica utilità. Ndr]

Ma poi si entrò nel periodo delle concentrazioni d’imprese e dei vari sforzi per riunire le forze che iniziavano a realizzarsi negli ultimi anni del XIX secolo. E’ interessante dare uno sguardo alla letteratura. I tribunali in realtà non li riconoscevano. Ci sono stati solo degli accenni in merito. Solo nei primi anni del XX secolo i tribunali e gli avvocati progettarono un nuovo sistema socioeconomico. Non è mai stato fatto attraverso una legislazione, ma per lo più da tribunali e avvocati e dal potere che erano in grado di esercitare sui singoli stati. Il New Jersey fu il primo stato a concedere alle società tutti i diritti che volevano. Naturalmente tutto il capitale del paese iniziò di colpo a confluire nel New Jersey, per ovvi motivi. Quindi gli altri stati dovettero fare lo stesso semplicemente per difendersi, altrimenti sarebbero stati spazzati via. Fu una specie di globalizzazione su scala ridotta. Poi si fecero avanti i tribunali ed i legali delle società e crearono una dottrina completamente nuova che diede alle grandi imprese quell’autorità e quel potere che non avevano mai avuto prima. Esaminando lo scenario, ci si accorge che è lo stesso che portò al fascismo e al bolscevismo. Gran parte del processo è stato appoggiato da persone definite progressisti, per i seguenti motivi: essi affermavano che il tempo dei diritti individuali fosse finito. Si era in un periodo di accorpamento di potere, unione di potere, accentramento. Si presume che questo sia un fatto positivo, se si è un progressista come un marxista-leninista. Da quello stesso scenario provengono tre grandi cose: fascismo, bolscevismo, e tirannia delle grandi imprese. Sono tutte nate dalle stesse radici più o meno hegeliane. E’ abbastanza recente. Pensiamo che le grandi imprese siano immutabili, ma sono state progettate. E’ stata una progettazione consapevole che ha funzionato proprio come aveva detto Adam Smith: i principali architetti della politica concentrano il potere dello stato e lo usano per i propri interessi. Di certo non si è trattato di una volontà popolare. Sono state sostanzialmente delle decisioni prese da tribunale e avvocati ad aver creato una forma di tirannia privata che ora è, sotto molti punti di vista, più solida rispetto a quanto lo sia mai stata la tirannia statale. Sono questi i ruoli principali della storia moderna del XX secolo. I liberisti classici sarebbero inorriditi. Non hanno mai neppure immaginato tutto ciò. Ma le piccole cose che videro già li fecero inorridire. Tutto ciò avrebbe assolutamente scandalizzato Adam Smith o Jefferson o chiunque la pensasse come loro...


BARSAMIAN: ...Lei è molto paziente con le persone, in particolare con le persone che fanno le domande più stupide. E’ un’abilità che ha coltivato?


CHOMSKY: Prima di tutto, di solito dentro fumo di rabbia, quindi ciò che si vede esteriormente non rappresenta necessariamente quello che c’è dentro. Ma per quanto riguarda le domande, l’unica cosa per cui mi innervosisco sempre sono gli intellettuali d’élite, trovo irritanti le stupidaggini che fanno. Non dovrei. Me le dovrei aspettare. Ma le trovo irritanti. D’altro canto, quelle che Lei descrive come domande stupide di solito mi danno l’impressione di domande perfettamente oneste. La gente non ha motivo di credere qualcos’altro rispetto a ciò che sta dicendo. Se si pensa da dove viene la persona che ci interroga, a quello a cui è stata soggetta, quella che fa è una domanda estremamente razionale ed intelligente. Può sembrare stupida da qualche altro punto di vista, ma non è affatto stupida nel quadro in cui viene sollevata. Di solito è abbastanza ragionevole. Quindi non c’è nulla per cui essere irritati.


Ci si può rammaricare delle circostanze in cui sorgono le domande. La cosa da fare è cercare di aiutarli ad uscire dal loro isolamento intellettuale che, come ho detto, non è solo accidentale. Ci sono enormi fattori che entrano in gioco nel rendere le persone, prendendo in prestito la frase di Adam Smith, "tanto stupide e ignoranti quanto possa esserlo un essere umano". Gran parte del sistema educativo, se ci si pensa, è concepito a questo scopo, è studiato per ottenere obbedienza e passività. Fin dall’infanzia, molto di questo sistema è concepito per impedire alle persone di essere indipendenti e creative. Se a scuola si tende ad essere indipendenti, probabilmente ci si metterà ben presto nei guai. Non è questa la caratteristica che viene preferita o coltivata. Quando la gente passa attraverso tutte queste cose, ed aggiungiamoci pure la propaganda delle multinazionali, la televisione, la stampa e tutta la massa, il diluvio continuo di distorsione ideologica, fa delle domande che da quel punto di vista sono del tutto ragionevoli...


BARSAMIAN: Alla Mellon lecture che Lei ha tenuto a Chicago... ha concentrato l’attenzione in primo luogo sulle idee di John Dewey e Bertrand Russell [per quanto riguarda l’istruzione]...

CHOMSKY: ...Erano idee estremamente libertarie. Dewey stesso proviene direttamente dalla borghesia statunitense. Coloro che leggessero ciò che effettivamente ha detto, lo considererebbero ora uno strano pazzo antiamericano o qualcosa del genere. Esprimeva il pensiero tradizionale prima ancora che il sistema ideologico distorcesse in modo così grottesco la tradizione. Ormai è irriconoscibile. Per esempio, non solo era d’accordo con tutta la tradizione dell’Illuminismo nell’affermare che "il fine della produzione è di produrre persone libere", - "uomini liberi", disse, ma è stato molti anni fa. E’ quello lo scopo della produzione, non di produrre merce. E’ stato un grande teorico della democrazia. Ci sono stati molti filoni della teoria della democrazia, diversi e in conflitto, ma quello di cui sto parlando riteneva che la democrazia richiedesse la distruzione del potere privato. Dewey diceva che finché ci fosse stato il controllo da parte di privati sul sistema economico, parlare di democrazia sarebbe stato una beffa. Riprendendo sostanzialmente Adam Smith, Dewey affermava che la politica “è l’ombra che i grandi interessi economici proiettano sulla società”. Diceva che ridurre l’ombra non serve a molto. Anche con le riforme rimarrebbe tirannica. Questa è, sostanzialmente, la visione di un liberista classico. Il punto centrale è che non si può ancora parlare di democrazia finché non si ha il controllo democratico sull’industria, sul commercio, sulle operazioni bancarie, su tutto. Con questo si intende il controllo da parte della gente che lavora nelle istituzioni, e nell’ambito della collettività.

Queste sono idee di base del socialismo libertario e dell’anarchia che risalgono direttamente all’Illuminismo, un prodotto di quel tipo di visioni di cui parlavamo prima provenienti dal liberismo classico. Dewey le rappresentava in epoca moderna, come ha fatto Bertrand Russell da un’altra tradizione, ma ancora una volta con radici nell’Illuminismo. Questi furono due tra i principali, se non i principali, pensatori del XX secolo, le cui idee sono note quasi quanto il vero Adam Smith. La qual cosa è segno di quanto sia stato efficiente il sistema educativo, ed il sistema propagandistico, nel distruggere completamente in noi anche la consapevolezza del nostro stesso patrimonio intellettuale diretto.


BARSAMIAN: In quella stessa conferenza, Lei ha parafrasato Russell a proposito di istruzione. Lei ha detto che Russell promuoveva l’idea che l’istruzione non andasse vista come una cosa che assomiglia a riempire d’acqua un contenitore, ma piuttosto ad aiutare un fiore a crescere a modo suo...

CHOMSKY: Questa è un’idea del XVIII secolo. Non so se Russell la conoscesse o l’avesse reinventata, ma suona tipica della letteratura del primo Illuminismo. E’ questa l’immagine che è stata usata... Humboldt, il fondatore del liberismo classico, considerava l’istruzione come srotolare una corda lungo la quale il bambino si sarebbe sviluppato, ma a modo suo. E’ possibile guidarlo un po’. Ecco come dovrebbe essere un’istruzione seria dalla scuola materna fino alla specializzazione post-laurea. E' così nella scienza avanzata, perché non c’è altro modo per farla.

[Possibile interpretazione: Chomsky considera la "scienza avanzata" come basata sulla propria personale creatività e capacità di ragionamento. In altre parole se arrivi a studiare a questi livelli, finalmente puoi (o meglio, devi, perché come dice non c'è altro modo) seguire un percorso completamente tuo, a differenza del modello standardizzato tipico dell'educazione coercitiva occidentale. Ndr]


Ma la gran parte del sistema educativo è completamente diversa. L’istruzione di massa è stata studiata per trasformare contadini indipendenti in strumenti di produzione docili e passivi. Era quella la sua funzione primaria. E non si pensi che la gente non lo sapesse. Si sapeva e si combatteva contro tutto ciò. Ci fu molta resistenza all’istruzione di massa, proprio per questa ragione. Era stato capito anche dall’élite. Una volta Emerson disse qualcosa a proposito di come stavano educando la gente per non averceli col fiato sul collo. Se non li si educa, attraverso quella che chiamiamo "istruzione", essi prenderanno il controllo - "essi" sarebbero coloro che Alexander Hamilton definiva la "grande bestia", cioè il popolo. La spinta dell’opinione antidemocratica in quelle che vengono chiamate società democratiche è davvero tremenda. E per una buona ragione. Perché più la società diventa libera, più la grande bestia diventa pericolosa e più bisogna stare attenti ad ingabbiarla in un modo o nell’altro.

D’altro canto ci sono delle eccezioni, e Dewey e Russell rientrano tra quelle. Ma sono del tutto emarginati e sconosciuti, benché tutti tessano le loro lodi come fanno con Adam Smith. Ciò che effettivamente hanno detto sarebbe considerato intollerabile nel clima autocratico dell’opinione dominante. L’elemento totalitario in questo caso è piuttosto sorprendente. Il fatto stesso che il concetto di "antiamericano" possa esistere - tralasciando il modo in cui viene usato – rivela una vena totalitaria che è abbastanza drammatica. Quel concetto, antiamericanismo – ha come unica vera controparte nel mondo moderno l’antisovietismo. Nell’Unione Sovietica il peggior crimine era quello di essere antisovietico. Ecco il marchio ufficiale di una società totalitaria: essere provvista di concetti come l’antisovietismo o l’antiamericanismo. Qui è considerato del tutto naturale. I libri che parlano di antiamericanismo, scritti da persone che sono sostanzialmente dei loro cloni stalinisti, sono tenuti in grande considerazione. Questo è vero per quanto riguarda le società angloamericane, che sorprendentemente sono le società più democratiche. Penso che in questo caso esista una correlazione... Con la crescita della libertà cresce anche la necessità di reprimere e controllare le opinioni, se si vuole impedire alla grande bestia di realizzare qualcosa con la sua libertà...


... Qualche anno fa Sam Bowles e Herb Gintis, due economisti, nella loro opera sul sistema scolastico statunitense... hanno fatto notare che il sistema scolastico è diviso in frammenti. La parte rivolta ai lavoratori e alla popolazione in generale è infatti studiata per imporre l’obbedienza. Ma l’istruzione per l’élite non può assolutamente farlo. In questo caso deve promuovere la creatività e l’indipendenza, altrimenti non saranno in grado di eseguire il loro compito di far soldi. La stessa cosa la si riscontra nella stampa. Ecco perché io leggo il Wall Street Journal, il Financial Times e Business Week: sono obbligati a dire proprio la verità. Questa è una contraddizione che esiste anche nella stampa tradizionale. Prendiamo, ad esempio, il New York Times o il Washington Post. Essi hanno una duplice funzione e sono contraddittori. Una funzione è quella di soggiogare la grande bestia. Ma un’altra funzione è quella di permettere ai loro lettori, che fanno parte dell’élite, di avere un quadro abbastanza realistico di ciò che accade nel mondo, altrimenti non sarebbero in grado di soddisfare i propri bisogni. Si tratta di una contraddizione che passa direttamente anche attraverso il sistema educativo. E’ totalmente indipendente da un altro fattore, cioè proprio dall’integrità professionale che molte persone possiedono: l’onestà, a prescindere dalle costrizioni che vengono dall’esterno. Tutto ciò porta a varie complicazioni. Se si osserva davvero nei particolari come lavorano i giornali, si scopre che queste contraddizioni e questi problemi si sviluppano in modi complessi...

David Barsamian intervista Noam Chomsky
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info/
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article19001.htm
04.01.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA MAZZAFERRO

Link: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4235&mode=thread&order=0&thold=0

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