DI DAVID ROVICS
Songwriter's Notebook
Oziosi pensieri sul crescere neonati e bambini (e sul bruciare le scuole)
Ultimamente ho passato la maggior parte del mio tempo con una bimba - mia figlia, Leila. Avrà due anni alla fine del prossimo mese. Spesso sono con lei dall'alba fino al tramonto, cinque o sei giorni alla settimana, mentre sua madre frequenta la scuola di medicina. Passando tutto questo tempo con lei, naturalmente ha iniziato a legarsi molto a me, ed è contagioso. Alla sua presenza sono spesso in uno stato di leggera euforia, accompagnato da fragilità emozionale. Come se sapessi di essere molto piccolo e nuovo qui, ma finché non succede nulla di male, il mondo è essenzialmente un luogo eccitante e affascinante, lì per essere costantemente riscoperto.
Ha passato una breve fase in cui è rimasta senza respiro per delle occasioni che la impressionavano. In questi giorni è più propensa ad applaudire vigorosamente e gridare "yay!" ripetutamente, o urlare la parola rilevante per l'evento che l'ha impressionata, come "frullato!", "pappa!", "cagnolino!" etc. Quando qualcosa la impressiona abbastanza ma forse non abbastanza da farla iniziare ad applaudire ed urlare, tipo la scorsa settimana, vedendo un cane che correva a rotta di collo e poi saltava in aria per afferrare una palla a mezz'aria, dice spesso, "è fuori!". L'ha imparato dalla sua fantastica babysitter punk-rock, Hannae. Ha imparato altre espressioni da Hannae, e le usa tutte secondo il contesto. Quando io e un amico stavamo entrambi tenendo una delle mani di Leila per farla "volare" in aria, ha detto "sono stra-contenta!".
Anche con molte altre espressioni, sa di cosa sta parlando, ma le formula come domande piuttosto che come dichiarazioni, perché ci sono espressioni che ha sentito spesso e sembrano essere associate con alcune attività. Per esempio, se esco dalla porta sul retro del mio appartamento si fa strada verso di me dicendo "stai venendo qui?". Significa "Io sto venendo". Una ad una, queste "domande" iniziano a diventare dichiarazioni, come se iniziasse a capire quale è ognuna. Proprio come "shoomie" diventa "smoothie" [frullato, ndt], ed "Eya" diventa "Leila".
Mai qualcuno ha cercato di "insegnarle" come pronunciare correttamente il suo nome. Nessuno ha mai cercato di spiegarle la differenza tra un'affermazione ed una domanda. Le capisce "per conto suo", vivendo, interagendo con le persone, osservando, ascoltando, provando le cose e guardando cosa accade. Raramente è frustata dai suoi errori.
Ultimamente ho notato che, a volte, quando ha sviluppato delle aspettative sul funzionamento di qualcosa, e poi non va come supponeva lei, questa può essere una fonte di frustrazione. Per esempio, è giunta a credere che quando si è messa i pantaloni, quelli rimarranno là finché lei non se li toglie. Recentemente aveva un paio di pantaloni troppo grandi, e continuavano a caderle sulle gambe e doveva sempre tirarli su, così dopo un po' si è messa a sbraitare per la frustrazione. (E ho promesso di cercare con più impegno di vestirla con abiti che le vadano bene).
Ma generalmente il mondo è nuovo ed inesplorato, e grazie ad un approccio libero e creativo a tutto, affascinata da molto di quel che incontra nel mondo, applicando il metodo scientifico ad ogni nuova situazione, Leila cresce. Più tempo passo coi bambini, più mi convinco che all'inizio siano tutti come Leila - brillanti, graziosi, pieni di entusiasmo per la vita, pieni di desiderio di scoprire e godersi il mondo, capire tutto quello che c'è da capire, imparare ogni nuovo linguaggio che incontrano.
Leila parla due lingue, principalmente - il francese nativo di sua madre e il mio inglese. Mischia francese ed inglese con chiunque parli, ma per la maggior parte si sintonizza al linguaggio che usano le persone e ricorre a quello. Dopo un po' impara tutte le stesse parole ed espressioni di entrambe le lingue, ma per il primo periodo una nuova parola o espressione sarà solo in una delle due. "Cheese" di solito è ancora "mage" (da "fromage"), "pants" di solito sono "pantalon". Alcune cose che la eccitano particolarmente impara a dirle in entrambe le lingue, e più immediatamente delle altre, nella speranza che una di queste parole funzionerà e qualcuno le darà un po' di "gelato" ("glas", "helado").
Poco tempo fa la mia amica Reiko è venuto a farmi visita dal Giappone. La incoraggiavo a parlare il Giapponese con Leila. Con il calore entusiasta di Reiko, ero sicuro che non sarebbe importato a Leila quale lingua stesse parlando. Leila sembrava ancora più illuminata quando ha sentito Reiko parlare giapponese. Era come se stesse pensando "non ho mai sentito delle persone parlare in questo modo prima d'ora! E' nuovo ed eccitante! Vediamo, ripeterò quello che dice e vedrò cosa accade, vedrò come reagiscono le persone, vedrò cosa significa questo, che ganzo...". Nel giro di qualche ora aveva imparato "oishi" ("yummy") e "moshi-moshi" ("hello", quando si risponde al telefono).
Piacevole gente nuova, buon cibo e telefoni sono tutti molto interessanti, così naturalmente quelle sono delle buone parole da imparare per prime in ogni nuovo linguaggio. Quel che fanno gli adulti - e ancora di più quel che fanno i bambini più grandi - è automaticamente interessante. Salire e scendere le scale, mettersi e togliersi i vestiti, parlare (specialmente parlare al telefono), leggere, scrivere. Altre cose sono divertenti di loro, come nuotare o farsi un bagno, giocare nel parco, o bere frullati. Dalla prospettiva di Leila, sembra che tutte queste cose dovrebbero essere fatte spesso e bene, se sono cose che richiedono maestria, e certe più certe meno, lo fanno tutte.
Quando Leila incontra qualcosa che vuole padroneggiare, come, per esempio, salire e scendere le scale, ci si accinge come uno scienziato che sta giocando. Gode lo sforzo, i successi, e non sembra mai preoccuparsi dei "fallimenti", che vede chiaramente come esperienze istruttive. A meno che causino dolore fisico o la paura del dolore, come quando cade dalle scale o va vicina a cadere ed ha bisogno di essere salvata (nelle molto rare occasioni in cui è davvero inciampata, ero generalmente abbastanza vicino perché non cadesse per più di un gradino). Ma nel caso del dolore fisico, per essere caduta o sbattuta contro qualcosa, di solito piange per un momento o due, vuole un breve abbraccio, e poi desidera scendere e tornare a quello che stava facendo e che ha causato il danno, per capire cosa sia andato male e come farlo meglio.
Il dolore emotivo è molto peggio, peggio anche di quando Leila mi salta sopra la pancia. Quando ha recentemente capito che stavo prendendo un aereo per stare via molte settimane (in tour) era sconvolta e ha pianto forte per un po'. In un paio di occasioni il gatto di sua madre, Oliver, le ha tirato delle zampate essendo stanco di venir importunato. E' un po' lunatico, come lo sono spesso i gatti, e non molto amichevole verso i bambini. Di solito se la svigna irritato appena lei cerca di accarezzarlo per qualche secondo, ma a volte la tollera per un po' di più, mentre altre volte ancora usa gli artigli anziché filarsela. A Leila non piace che se ne vada, ma quando la graffia sembra sentirsi devastata e tradita. Quando piange per qualcosa come in questi casi sembra volermi far sapere cos'è che la sconvolta, così l'ultima volta che è successo, nel bel mezzo dei suoi singhiozzi, diceva "Miao! Miao".
Sentivo di voler piangere con lei e ridere di lei allo stesso tempo, ma non ho fatto nessuna delle due. Quando piange sento di doverla stringere, e di solito le piace. Ma l'ultima volta che il gatto le ha tirato una zampata non era quello che voleva. Mentre stava ancora piangendo e si sentiva ovviamente ferita da Oliver, voleva che le cose funzionassero con lui. Non se ne era ancora andato, e lei voleva cercare di capire cosa era successo. La verità è, se lo capisse, che lei non era la prima, perché quel gatto graffia chiunque prima o poi. Il resto di noi, semplicemente, non ne è particolarmente preoccupato, perché sappiamo che è un gatto e i gatti possono essere così (e comunque non fa mai uscire sangue dagli umani, a differenza di alcuni altri gatti che ho conosciuto).
Che le cose siano difficili o facili, potenzialmente doloroso o meno, Leila ci si immerge. Nessuno ha mai dovuto "insegnarle" come fare queste cose. Nessuno l'ha mai incoraggiata ad imparare cose nuove, semplicemente fa delle cose nuove tutto il tempo per amore della vita e per una passione ovvia, non celata, nei confronti del mondo. Nessuno le ha detto del metodo scientifico o del capire le cose - il suo piccolo cervello ha fatto tutto da solo, fin dall'inizio.
Durante il suo primo anno viveva in una casa senza scale. Quando stava ancora capendo come camminare, stavamo passando alcuni mesi in un posto con delle scale. Le scale divennero un fonte di incanto primaria. All'inizio, qualcuno la guardava sempre come un falco, ma raramente si rivelava necessario, e dopo poco era chiaro che Leila non voleva fare cose che potessero risultare in un suo capitombolo. Voleva disperatamente essere in grado di salire e scendere le scale senza le mani come fanno i grandi, ma sapeva che non poteva farlo da sola, così voleva prendere la mano di qualcuno e andare sù e giù in quel modo. Almeno le sue mani non toccavano le scale, sembrava star pensando. Ma voleva essere in grado di fare le scale senza aiuto, così improvvisò e si ingegnò a scalarle in un senso e nell'altro andando a ritroso. Cercò di andare avanti sul sedere, ma non sembrava funzionare bene, così alla fine decise di andare a ritroso. Quando era pronta per iniziare a salire le scale tenendosi sulla ringhiera, lo fece, e con successo. Dopo un po' iniziò a fare le scale senza tenersi a nulla. Si sfidava a fare ogni singolo passo finché le sembrava sicuro, senza che mai qualcuno le dovesse dire "non fare questo" o "non fare quello" o "è pericoloso", "stai attenta", etc.
Leila sta anche imparando a suonare l'ukelele alla stessa maniera. Non le ho mai "insegnato" come farlo, come pizzicare o strimpellare le corde etc. Semplicemente, lo suono spesso per il nostro piacere nel mio (nostro) appartamento. Ne ho molti, in giro, e ovviamente sono abbastanza piccoli perché un bambino possa suonarli. A volte ne prende uno mentre ne sto suonando un altro, ma più spesso prende quello che stavo suonando io dopo che l'ho messo giù. Non ha ancora iniziato a toccare le corde, ma lo tiene nella solita posizione (come faccio io), una mano sul manico e l'altra che suona le corde. Le pizzica una ad una o le strimpella, e a volta canta, pure. Canta magnificamente, raggiunge toni alti, e potrebbe avere un'intonazione perfetta (Non ho cercato di capirlo per certo e non penso che importi se ce l'abbia o meno). Le piace la musica, e spesso la esige. Ho sempre una chitarra disposta nel suo stand in soggiorno. Leila si dirige verso la chitarra e strimpella candidamente le corde (solo una volta ne ha accidentalmente fatta cadere una, ed è abbastanza facile con quei piccoli sostegni a tre gambe per le chitarre ), dicendo "suono la musica?".
La nostra è una relazione simbiotica. Stiamo sempre facendo qualcosa che ci godiamo insieme. Se sta facendo ossessivamente qualcosa per una mezz'ora, tipo scalare sù e giù una nuova scala un centinaio di volte o giù di lì (dimostrando brillantemente che i bambini non hanno range di attenzione bassi se sono presi da quello che stanno facendo), mentre io leggo le news della AP sul mio nuovo e decorato cellulare, quando ha finito e vuole fare qualcosa di più interattivo, metto il telefono in tasca e facciamo qualcos'altro. Mi sembra che non ci sia una particolare ragione per cui dovremmo fare cose che non piacciono ad uno dei due, in quanto ci sono molte cose che piacciono ad entrambi. Spesso, trovare attività di reciproco interesse mi porta ad imparare nuove cose.
Per esempio, io suono la musica per vivere, ed è bene esercitarsi a suonare, scrivere canzoni, etc (Ed è bene anche che io risponda alla mia mail regolarmente, così posso prenotarmi grandi concerti e simili, ma è noioso per Leila così lo faccio solo quando è a nanna). Di solito suono la chitarra con un pletro. Ma ogni volta che inizio a suonare, Leila inizia a concentrarsi sul pletro, che la affascina per qualche ragione. (L'innata attrazione degli umani per gli strumenti di ogni tipo, forse?). Una volta che ha il pletro, può suonare le corde per un po', ma di solito è più interessata a farlo cadere nella buca e poi dire qualcosa come "Oh no! Non so dov'è andato il pletro! Dov'è andato il pletro?". Poi scuoto la chitarra sù e giù finché non salta fuori e Leila grida "eccolo!". Poi, immediatamente, lo fa cadere dentro di nuovo.
Io mi annoio con questo gioco, mentre sua madre si preoccupa che potrebbe mangiare il pletro e soffocarsi (sembra molto improbabile, ma non si sa mai, si ritiene che i bambini facciano questo tipo di cose a volte), così non le voglio dare un suo pletro per suonare. Quando lo faccio, comunque (guardandola attentamente per essere sicuro che non decida davvero di mangiarlo), lo fa cadere nella buca e poi chiede che io lo raccolga in modo che possa farlo cadere di nuovo. Posso alzarmi in modo che le mie mani e il pletro siano fuori dalla sua portata, e mi sembra qualcosa di cattivo da fare, e quando ci prova a volta mi raggiunge fino alla mia mano destra, dicendo "Pletro? Pletro? Pletro?". Così ho smesso si usare il pletro in casa, e sono molto migliorato nel finger-pickering, come desideravo fare da anni, ma in qualche modo non c'ero mai neanche andato vicino (come imparare lo spagnolo, e molte altre cose).
Nei nostri viaggi in giro per la città, amici e conoscenti commentano spesso che Leila sembra essere eccezionalmente intelligente, abile, abituata alla vita, e di buona natura. Penso che per la maggior parte siano sinceri quando lo dicono, non cercano solo di impressionare l'orgoglioso papà. Forse c'è un fattore genetico, e certamente ci sono fattori fisici - il raffinato latte biologico dal seno è liberamente stillato ogni sera ("tetta!" - che ovviamente è emozionalmente educativo quanto lo è fisicamente), la maggior parte di quello che mangia è biologico, etc. Ma, più di tutto, direi che il suo essere "eccezionale" riguarda più che altro il fatto che gli altri bimbi siano "non eccezionali". Ossia sono tenuti a freno dai loro genitori ed altri adulti nel corso delle loro vite, e specialmente da parte delle scuole. Suggerirei che la maggior parte dei genitori e la grande maggioranza delle scuole - pubbliche, private o "alternative" - stiano fallendo, spesso miserabilmente, nel permettere ai bambini di essere brillanti. Sono certo che molti genitori, insegnanti e dirigenti scolastici si preoccupino molto dei loro bambini, ma sbagliano pressoché tutto e non ne hanno idea, per essere del tutto franco.
Sono come scienziati pazzi che cercano di allevare dei pappagalli nell'Artico. I pappagalli continuano costantemente a gelarsi fino a morire, ma i biologi continuano a cercare di insegnare loro come volare più velocemente, fare giochi, imparare nuove espressioni, etc, sperando sempre che qualcosa di quello che fanno aiuterà gli uccelli a prosperare, ma loro continuano a morire di freddo indipendentemente da quello che fanno. Iniziano a dare delle droghe agli uccelli per aumentare il loro battito cardiaco e li tengono al caldo, ma anche questo non funziona. Non si accorgono mai che ci sono aspetti fondamentali dell'ambiente in cui hanno portato gli uccelli che causano la loro morte.
Ho sempre saputo che la nostra società (intendo gli Stati Uniti, e con buona approssimazione il mondo "civilizzato" in generale) era sottosopra, ma questa consapevolezza non è mai stata così grande in me finché non ho avuto un bambino. E' pieno di buone ricerche, ignorate ed incomprese, su come adulti e bambini imparino, su come manteniamo, miglioriamo o perdiamo il nostro benessere fisico, mentale ed emotivo. Ho letto molto al riguardo di recente, ma non porterò qui l'ambito accademico, userò la mia vita in questo mondo come guida. Penso che sia un modo più semplice di descrivere le cose, comunque. Ho personalmente avuto esperienza dell'auto-didattica, di molti anni in una scuola pubblica considerata eccellente, e di molti anni in una fantastica scuola alternativa. Ho anche conosciuto (e conosco) molti bambini e adulti di tutte le età che sono cresciuti in una grande varietà di ambienti.
Comincia con la nascita. Nonostante la pratica sia stata ampiamente screditata, anche dai dottori che la raccomandarono originalmente mezzo secolo fa, i genitori confinano i loro fanciulli in una culla e li lasciano piangere finché non si addormentano. Consapevolmente o meno, questo è l'inizio del processo di insegnamento ai bambini che essi non controllano le loro vite. La prima nozione per un bambino, la più basilare, ossia che le loro espressioni di malcontento debbano essere gestite da un adulto di qualche tipo, mette le cose in chiaro e prepara il palco per tutto quello che verrà poi. Pensavo di essere un po' in una strana bolla di... sinistra, vivendo in qualche modo ai margini della società, ma sono rimasto sorpreso nel constatare, ora che ho una bimba e sono con altri bimbi un po' più spesso. Che la pratica di lasciar piangere i neonati finché non si addormentano non è infrequente anche nel mio giro.
Dopo aver "appreso questa lezione", ossia che non controllano il loro ambiente e che il loro disagio non sia particolarmente importante, entro pochi mesi sono nel campetto dei giochi, dove mi trovo spesso con mia figlia. Molti dei bambini sono come Leila: hanno fiducia in sè stessi, e si auto-sfidano a scalare le cose. A volte Leila cade da un paio di piedi d'altezza. In tutti i parchi di Portland dove sono stato, il terreno è coperto di soffici truccioli, quindi è tutto ok. Ma ci sono sempre genitori che cercano di dettare al loro bambino ogni singolo movimento. Il parco giochi - un luogo ideato per i bambini, dove possano divertirsi - in qualche modo è trasformato in una fonte di esasperazione sia per il genitore che per il bambino. I genitori creano confini non necessari contro cui i bambini vanno a sbattere e ai quali, ovviamente, si sentono costretti, sentendosi come se fosse impedito loro di crescere e di imparare nuove cose (ed hanno ragione).
Se Leila sta facendo qualcosa che un bambino di un anno più vecchio di lei non è autorizzato a fare, e poi il genitore dell'altro bambino decidere di lasciar fare al figlio quello che è, diciamo salire una scala (con una ringhiera!) spesso il bambino, raggiungendo l'estremità, dirà "Ho paura". Perché sono spaventati? Perché i loro genitori hanno insegnato loro che a questa età non possono fidarsi di sè stessi. Hanno effettivamente arrestato il loro sviluppo fisico ed emotivo, di già.
E poi, ovviamente, il passo seguente per la schiacciante maggioranza dei bambini: la scuola. Ora che molti di loro hanno imparato a non fidarsi di sé stessi, sono generalmente posti in un ambiente dove chiunque abbia non più di un anno di differenza da loro, tranne l'insegnante. Al di là del tipo di scuola, il messaggio implicito è che questi ragazzi siano in questa scatola per una ragione - sono lì per "imparare", e l'insegnante è lì per "insegnare".
Le scuole alternative possono alterare con successo questa equazione fino al punto dove l'esperienza complessiva è positiva per i bambini, ne sono certo. Ma le migliori scuole alternative stanno cercando (con successo o meno) di creare un ambiente "sperimentale, gestito dal bambino". Questo è bene, perché significa che stanno cercando di ricreare il "vero mondo" in un ambiente scolastico. A causa dei diffusi pregiudizi sociali di quel che sia tradizionalmente la scuola - una sorta di rigido "noi" (studenti") e "loro" (insegnanti e dirigenti) - è un'intrinseca sfida a cercare di cambiare il modello e creare una scuola autenticamente alternativa. Ma anche se una scuola alternativa può creare una situazione dove imparare è davvero sperimentale anziché tutto un "insegnare" dall'alto, non sostituisce comunque il ricco ed infinitamente più vario ambiente che esiste al di fuori dell'edificio scolastico.
Di certo, per la maggior parte dei genitori e di quelli che si occupano di bambini, tenerli fuori della scuola non sarebbe un'opzione realistica. Forse mandarli ad una scuola alternativa non è altrettanto realistico, a causa dei costi che questo comporterebbe. Non suggerirò che tenere i bambini fuori dalla scuola sia necessariamente possibile o anche solo giusto per tutti. Ma per quelle persone che pensano alla scuola come ad un ambiente necessario ed importante per i bambini, vorrei essere una voce che rifiuta con veemenza questa nozione. No, la scuola non è né necessaria né importante. Infatti, per la grande maggioranza del tempo farà più male che bene. Sto parlando delle scuole che generalmente chiamano "buone scuole" (con l'eccezione, forse, di alcune delle migliori scuole alternative), non solo delle scuole "scadenti".
Ne so qualcosa sull'argomento, Non ho una laurea, e sono certo di non averne bisogno. Ho conosciuto molti genitori e bambini, adulti e giovani, in tutto il mondo. Sono profondamente aduso ai prodotti di una vasta gamma di istituzioni educative: private, pubbliche e alternative, ed io ho stesso ho passato molti anni studiando in un "buon" sistema pubblico scolastico, un eccellente scuola elementare alternative, e in un più convenzionale college privato.
Forse, ancora più importante, ho conosciuto (e letto libri su) molti giovani che sono stati tenuti fuori dalla scuola per la maggior parte o tutta la loro vita. Sono sempre brillanti. Non solo in termini della loro capacità di pensiero critico, ma anche per il pensiero creativo, e in termini di intelligenza emotiva. Sono vivi. Spesso i loro genitori non mi impressionano necessariamente come persone eccezionali, in termini di risultati accademici o di vita. Non li riconosceresti in fila all'ufficio postale. Ma passare del tempo con persone giovani che non sono andate a scuola è un'esperienza profondamente convincente di per sè. La facilità con cui tendono ad interagire con altri ragazzi della loro età, o più giovani, o più grandi, o adulti. La fiducia e sicurezza in se stessi, l'intelligenza che brilla nei loro volti, la loro disinvoltura nella "conversazione da adulti".
Molti di loro seguono i corsi al college locale nei primi anni della loro adolescenza, così spesso hanno esperienze con le istituzioni educative convenzionali, ma è un "contatto auto-diretto", e in genere stanno solo seguendo corsi su cose a cui sono interessati, di solito cose che non vengono insegnate alle scuole superiori o che non vengono insegnate ad un livello sufficientemente avanzato.
Da quando ho avuto Leila mi sono sempre più interessato alla materia, ed ho chiesto ai molti professori universitari che conosco di raccontarmi i loro rapporti con gli studenti che sono stati tenuti fuori dal sistema scolastico fino a quel punto. Ripetutamente, mi dicono quanto siano impressionanti questi ragazzi, quanto siano più avanti dei loro compagni socialmente, intellettualmente, emotivamente.
Dalla mia esperienza con la scuola, e vedendo gli effetti della scuola sugli altri, questo ha perfettamente senso. Quel che mi ricordo delle elementari è che imparai come le mie necessità, sentimenti e desideri non importassero. Imparai che fare quello che voleva l'insegnante era tutto quello che contava, ed imparai che era impossibile farlo. Mi sentivo sperduto, confuso e ansioso la maggior parte del tempo. Sono certo che non fossi l'unico in classe a sentirsi così. Era la mia prima esperienza in una classe con dei banchi e tutta quelle cose lì e fu un'esperienza potenzialmente distruttiva per lo spirito.
Fortunosamente, i miei genitori riconobbero che la scuola non stava funzionando per me, così cercarono e trovarono una splendida scuola alternativa che si trovava proprio nel nostro piccolo sobborgo in Connecticut. Si chiamava Learning Community. Dopo aver passato un po' di tempo in solitudine, essenzialmente a riprendermi dal disturbo post-traumatico da stress indottomi dalla scuola pubblica, mi trovai bene in quell'ambiente, e mi fu permesso di rimanere più o meno emotivamente intatto. Posso solo cercare di immaginare come sarebbero andate le cose se avessi dovuto frequentare le scuole pubbliche o qualche altra scuola convenzionale durante quel fragile periodo della prima infanzia. Di certo non sarei la persona che sono oggi.
Quando tornai di nuovo in una scuola pubblica, dai 7 ai 12 anni, ero entusiasta dell'esperienza. Volevo vedere come sarebbe stato. Ero interessato alla scienza e alla matematica, e avevo l'impressione che mi sarebbe piaciuto imparare queste cose. Oggi mi piace ascoltare una buona storia, o una buona lezione. Ma sentir parlare tutto il giorno persone che erano chiaramente disinteressate in quello di cui stavano parlando, in una classe con persone ugualmente disinteressate nei contenuti della materia, fu opprimente. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno, stavo uscendo di testa per via della noia. Era come essere in purgatorio. Non lasciai mai, ma nemmeno accettai quella realtà, e in qualche modo sopravvissi all'esperienza più o meno intatto, sebbene abbia in gran parte perso sei anni potenzialmente molto formativi della mia vita. Per mia sorella e molti dei miei amici, l'esperienza della scuola pubblica fu molto peggio.
Ricordo come, all'inizio di ogni anno scolastico, agli studenti fosse data la possibilità di scegliere una parte del loro programma. Ogni anno, molti o la maggior parte dei corsi erano obbligatori, ma almeno potevi scegliere tra "Introduzione alla Fisica" o "Introduzione alla Chimica" (dimenticatevi dell'astronomia, l'antropologia o le altre materie potenzialmente interessati per i ragazzi). Potevate scegliere tra la storia occidentale europea o la storia statunitense (insegnate sempre, naturalmente, dalla prospettiva dei ricchi schiavisti bianchi assassini di Indiani, e potevate scordarvi di imparare la storia dell'Europa Orientale, l'America Latina, l'Africa o l'Asia). Potevate scegliere tra il Francese e lo Spagnolo, insegnati da non-madrelingua. Sono certo che non ci fosse più di una manciata di studenti che era anche solo vicina ad un livello di conversazione quando si diplomarono, e sono certo che la maggior parte di loro fosse costituita da studenti che erano stati all'estero. Però ci veniva offerta una scelta, e questo era eccitante. Come realizzai in seguito, era l'unico periodo dell'anno in cui ci veniva effettivamente offerta una scelta, e questa era essenzialmente tra Pinco-Panco e Panco-Pinco.
Era così all'inizio degli anni '80 in uno dei meglio finanziati sistemi scolastici in una delle città più ricche in uno dei più ricchi paesi degli Stati Uniti, una "buona scola" secondo la maggior parte delle prospettive. Infatti, i miei genitori si trasferirono a Wilton da New York City soprattutto per via di com'era la scuola lì.
Ma anche se gli insegnanti erano stati (perlomeno in qualche momento della loro carriera) interessati a quello che facevano e di cui parlavano, sono ancora convinto che è la struttura gerarchica, orientata all'insegnante della scuola a costituire il problema essenziale. La scuola ti insegna che hai bisogno degli insegnanti per imparare. Questo toglie energie e spirito. La diffusa ma falsa idea è che tu abbia bisogno di studiare "Algebra I" prima di poter studiare "Algebra II" prima di poter studiare programmazione informatica o astronomia, piuttosto che imparare l'algebra attraverso lo studio di qualcosa che sia potenzialmente interessante o pratico, come appunto la programmazione informatica o l'astronomia. Impariamo che per imparare qualcosa di davvero interessante prima devi annoiarti a morte per anni studiando altre cose. La gratificazione è sempre posticipata.
Nei corsi di lingua, per esempio, gli insegnanti non iniziano nemmeno cercando di far parlare i ragazzi finché non hanno dato loro un anno di test di grammatica e vocabolario. Con questo tipo di irreggimentazione è una bella domanda perché nessuno impari mai qualcosa.
Spesso la gente considera i sistemi di istruzione pubblica europei come molto superiori alle scuole pubbliche statunitensi. Ho passato molto tempo in tutta Europa e conosciuto molti giovani ed anziani europei, e per molte ragioni concordo che, per esempio, il sistema scolastico tedesco sia molto migliore del nostro. Ma avendo passato un sacco di tempo nella seconda città della Germania, la grande città cosmopolita di Amburgo, non ho potuto fare a meno di notare che la maggior parte dei Tedeschi non parla fluentemente l'inglese. Molti lo fanno, di solito perché hanno viaggiato molto, vissuto in Inghilterra, Irlanda, Stati Uniti, o hanno avuto un fidanzato irlandese o simili. Ma per quelli che non hanno avuto queste esperienze, nonostante la grande maggioranza di loro si sia diplomata nelle scuole pubbliche tedesche ed abbia studiato inglese per dieci anni, non hanno mai raggiunto un buon livello.
In Giappone è ancora peggio. Il Giappone è ampiamente noto per avere un sistema di istruzione pubblica estremamente duro, e molti studenti studiano varie materie con dei tutor quotidianamente, anche dopo aver passato lunghe ora a scuola. Come in Germania, gli studenti giapponesi hanno tutti studiato inglese per dieci anni o più. Eppure, dalla mia esperienza di viaggio in Giappone, la scorsa estate, sarebbe molto generoso dire che un 10 % dei Giapponesi sa parlare l'inglese con un qualche grado di scorrevolezza.
Cosa spiega questo fallimento dei sistemi scolastici in due dei più ricchi paesi del globo? E perché l'enorme differenza tra la conoscenza dell'Inglese in Germania comparata a quella, diciamo, della Scandinavia o i Paesi Bassi, dove (stime mie) circa il 90 % della popolazione sotto i 60 anni parla molto scorrevolmente l'inglese? Una differenza è che in Scandinavia e Olanda molti dei film e delle sit-com in TV vengono dagli Stati Uniti. Molti documentari sono della BBC. E la lingua più comunemente parlata dai visitatori internazionali è l'Inglese. L'Inglese è ovunque attorno a loro quotidianamente. Apprendimento sperimentale. La Germania, che ha un mercato della TV e dei film molto più grande della Scandinavia, la maggior parte della programmazione straniera è doppiata piuttosto che sottotitolata, e poiché è un mercato più grande, molta della programmazione è prodotta in Germania da Tedeschi. (Lo stesso avviene in Giappone, Francia, Italia, etc.)
Ma poi, forse i Tedeschi e i Giapponesi semplicemente non vogliono imparare l'inglese, così non lo imparano, nonostante il fatto che venga insegnato nelle scuole quotidianamente per la maggior parte dei loro anni formativi. O dipende proprio da questo? Ecco il punto. Gli Scandinavi vogliono imparare l'inglese perché è attorno a loro nel loro ambiente non-scolastico, nel mondo reale. In Germania, l'inglese è qualcosa che viene fatto trangugiare a scuola quindi, naturalmente, molte persone lo rifiutano a priori, fanno quello di cui hanno bisogno per essere promossi, e poco più. Spesso non hanno scelta, soggetti ad una situazione profondamente frustrante, e la rifiutano perché sono umani. (Forse la rifiutano anche - ad un qualche livello - perché è la lingua dei paesi che hanno bombardato a tappeto le loro città e ucciso milioni dei loro passati concittadini).
Per contrasto, ho passato un estate di otto anni fa viaggiando negli Stati Uniti con una donna tedesca e sua figlia, che allora aveva otto anni. La bambina non parlava che poche parole di inglese all'inizio dell'estate. Alla fine lo parlava meglio di sua madre. Sua madre avrà saputo qualche parolone da vocabolario che lei non sapeva, ma la sua maestria nella pronuncia e nella grammatica superava di gran lunga quella della madre. Per esempio, alla fine dell'estate, incontrando mio padre, questa bimba riconobbe il fatto che mio padre aveva un accento molto lieve da Brooklyn, qualcosa che molti madrelingua inglesi non noterebbero nemmeno.
Dunque, potete passare un estate viaggiando attorno alle Rockies e gironzolando nella Riserva Navajo con vostra madre e raggiungere la scorrevolezza nell'inglese, o potete andare a scuola per tutta la vostra infanzia e probabilmente imparare l'inglese meno bene, alla fine.
E questo non riguarda solo la molto vantata (ma ancora molto ignorata dalla maggior parte delle scuole) ricettività dei bambini per l'apprendimento dei linguaggi. Sono convinto che non abbiamo mai bisogno di perdere quell'inclinazione per l'apprendimento che hanno i bambini. Infatti, perdiamo quell'inclinazione ad imparare per colpa della scuola. Quelli che stanno al di fuori della scuola, secondo le mie osservazioni, tendono a mantenere quella luce magica con cui iniziano tutti i bambini. (E probabilmente la manterranno ancora di più se possono evitare uno di quei lavori d'ufficio che intorpidiscono la mente, una volta adulti).
Alla Learning Community e anche alla scuola pubblica di Wilton, l'educazione musicale era del tutto trascurata. Non c'era l'opportunità di suonare a scuola, a meno che tu volessi imparare come suonare uno strumento della fanfara per la banda della parata (così potevi esibirti durante la partite di football) o al gruppo di "jazz" alla scuola superiore. L'enorme diversità che c'è al mondo nella musica era completamente assente dalla scuola, tranne per versioni mutilate di jazz standardizzato. (A dire il vero, credo che entrambi gli insegnanti di musica nelle scuole pubbliche in cui sono stato fossero buoni suonatori che amavano sinceramente la musica jazz, ma non avevano riscontro nelle istituzioni prive di vita in cui cercavano di lavorare).
I miei genitori, essendo entrambi dei musicisti classici molto affermati e professionali si aspettavano che io e mia sorella prendessimo un'educazione musicale classica. Quando entrambi raggiungemmo i nove anni circa, ricordo di aver avuto delle conversazioni con i miei genitori se mi sarebbe piaciuto prendere lezioni di musica e, se sì, quale strumento avrei voluto suonare. Mi fu data la scelta dello strumento, ma non la scelta dello stile musicale. Come a scuola, dove ti viene detto che devi studiare algebra prima di studiare astronomia, i miei genitori sentivano che dovevi avere un'educazione musicale classica se volevi andare da qualche parte con la musica. La mia cara madre era solita dire (anche se è passato molto) che se avessi davvero voluto turbarla quando fossi cresciuto, avrei potuto o arruolarmi nell'esercito o diventare un musicista rock. (Lei non ricorda di averlo mai detto e, in tutta onestà, potrei stare inventandomelo). I miei hanno sempre detto che non mi hanno dato il nome prendendolo da qualcuno in particolare, ma ho sempre avuto l'impressione che venisse da un virtuoso violoncellista e amico di famiglia chiamato David Wells. Per altro amavo la sua musica, era appassionato e così dannatamente bravo. Non ricordo i miei esatti processi mentali, al tempo, ma il violoncello fu lo strumento che scelsi. (Mia sorella, che ebbe il nome da una grande flautista, scelse di suonare il flauto quando fu il suo turno di scegliere uno strumento).
Nonostante due dei miei tre insegnanti di violoncello fossero oltraggiosamente dei bravi suonatori, e persone davvero apposto, e insegnanti molto indulgenti, il violoncello non mi prese mai, e sostanzialmente fui sopraffatto dalla pressione. Non ricordo quando pienamente lo capii, allora, ma era la basilare mancanza di scelta nell'intera situazione che trovavo oppressiva. Esercitarmi al violoncello divenne una fonte di attrito in casa.
Dopo cinque anni, smisi. Mi ci vollero molti anni senza suonare alcunché prima che sentissi l'impulso di esplorare la musica per conto mio. Sono certo che essere cresciuto con la musica e con dei musicisti sia stata una cosa positiva, in termini di avere della grande musica live attorno a me tutto il tempo, e in termini dell'esempio che i miei genitori e i loro amici posero quali musicisti affermati. Infatti, uno dei miei più positivi ricordi musicali di quando ero un bambino è di quando mio padre e io volemmo suonare il piano insieme, e lui si inventava storie sui dinosauri, suonando il piano per la musica di sottofondo e gli effetti sonori. E c'erano molti, molti altri aspetti positivi nel mio ambiente casalingo in termini di fornire una ricca esperienza culturale, tra le altre cose, ma avere delle lezioni formali di musica non fu tra questi.
Ho preso un paio di dozzine di lezioni formali di basso e chitarra, ma per la maggior parte mi sono "insegnato da solo". Allora iniziavo a capire più chiaramente che l'educazione "formale" non era questo granché. Da autori e musicisti che incontrai personalmente, come Jim Page, e ascoltando le parole di altri maestri come Utah Phillips, imparai che la via per cui molti degli autori e musicisti che ero giunto a riverire avevano imparato la loro arte era immergendosi nelle tradizioni musicali a cui erano interessati, e poi scrivendo canzoni, mentre continuavano ad ascoltare altra musica ed essere parte della tradizione (evolvente) di cui facevano parte. Il mio "insegnate di musica", essenzialmente, fu la musica stessa che, scommetterei, è il miglior insegnante di tutti, insieme alle vostre orecchie, mani e la mente.
"Insegnandomi da solo" in questo modo, sono diventato un professionista abbastanza affermato. Se questo fosse inusuale, non varrebbe la pena notarlo. Ma effettivamente sono abbastanza sicuro che sia la norma. Non ho una statistica, ma sarei sorpreso se più d'una piccola percentuale di persone che vive grazie alla musica si fosse laureata al of Berklee College of Music, Julliard, etc.
Imparai e leggere e scrivere facendolo con i miei genitori, come la maggior parte delle persone. (Come è stato ben documentato da autori quali Jonathan Kozol, molti pochi bambini di genitori analfabeti imparano davvero a leggere a scuola, dimostrando ancora una volta il fallimento di molte scuole a fare qualcosa che potrebbe essere definito "insegnamento", perché se nessuno impara, nessuno sta insegnando!). Altre abilità che ho appreso da bambino a cui faccio tuttora ricorso, come digitare, organizzare mailing list, e usare i computer, le ho apprese a casa con l'aiuto di mio padre e i laboratori che lui e mia madre stavano gestendo. Il resto di quel che so su come fare le cose, come prenotare concerti, l'ho imparato guardando altre persone che lo facevano. All'incirca tutto quello che so sugli eventi attuali l'ho appreso fuori dalla scuola, leggendo libri per conto mio, o libri raccomandati da persone che ne sapevano di cose di cui volevo saperne anche io. In tutti i miei anni di scuola ho a malapena imparato qualcosa di valore fino al college, dove ebbi un paio di buoni professori marxisti.
Sto attualmente scrivendo una guida fai-da-te su come scrivere canzoni, suonare musica e prenotarsi i propri concerti, per la PM Press. Potrei farla molto più lunga includendo un sacco di racconti autobiografici su come una certa canzone sia stata scritta o su come ottenni un concerto o di come fu il primo tour in un tal paese, etc, ma poiché si tratta di una guida, con trucchi del mestiere e simili, non è molto lunga. Spero che sarà utile alle persone, ma il messaggio di fondo del libro per fare una qualunque di queste cose è lavorare con altre persone che le fanno bene, seguire il loro esempio, e poi provarci da soli, e continuare ad imparare da altre persone e imparare dalle proprie esperienza.
Le mie memorie dell'infanzia possono essere vaghe, ed ho certamente avuto un'esperienza positiva ala Learning Community da bambino, ma trovo interessante che una delle mie più vivide memorie del tempo passato a scuola è di quando uno dei genitori si trovò con una ruota a terra. Con l'incoraggiamento dell'insegnante, la mia intera classe si svuotò e ci dirigemmo al parcheggio. Uno dei ragazzi più grandi aveva delle qualità di meccanico, e molte altre, tutte imparate a casa. Cambiò il pneumatico con il resto di noi che aiutava un po' o guardava e basta. Anche se ero solo uno di quelli che guardava, fu un evento memorabile, penso perché era qualcosa che accadeva nel mondo reale, fuori dalla scuola (anche se appena fuori dalla scuola).
Sono abbastanza certo di essere una delle molte, molte persone che non imparano bene in ambienti forzati, artificiali, ma fioriscono negli ambienti di apprendimento del mondo reale. Una ragione perché ciò ha senso è che gli umani hanno fatto ricorso all'apprendimento esperienziale con molto successo per molto più tempo di quello in cui abbiamo avuto le scuole. E ancora oggi, nel deserto Kalahari o nella giunga amazzonica, troverai teen-ager con sufficiente conoscenza botanica da riempire molte enciclopedie. Nelle piccole città dell'entroterra scozzese troverai teen-ager che hanno un migliaio di toni memorizzati che possono suonare magnificamente con cinque diversi strumenti musicali, nessuno dei quali imparato a scuola.
Penso a queste cose, penso alle cose devastanti per l'anima che la maggior parte delle scuole fa alla maggior parte degli studenti, vedo quanto brillantemente Leila abbia imparato così tanto senza aver ancora compiuto due anni, e non so cosa dire alle molte persone da me incontrate che sono contro l'idea di crescere un bambino senza un'educazione "formale". Se la mia bambina volesse davvero andare ad una scuola di qualche tipo, ne cercherei una buona e la lascerei provare. E se non volesse? Non la manderei a scuola più di quanto la manderei in prigione.
Come musicista professionista che è abbastanza felice da vivere sopra la soglia di povertà, sono molto privilegiato, e so che non è facile immaginarsi come fare a meno della scuola per tutti. Le scuole funzionano bene in molti, molti modi con la moderna società (post) industriale, e ovviamente non sono solamente le scuole a fare schifo, ma la maggior parte dei lavori che la gente finisce a dover fare. Ma per quelli di noi secondo cui la società ha qualche grave falla da sistemare, direi che immaginarsi cosa fare riguardo l'intero concetto di scuola sarebbe un buon punto di partenza. E, nel frattempo, quelli di noi che possono, potrebbero scegliere di tenere i loro bambini lontani dalla scuola e dare loro l'incoraggiamento e le opportunità per vivere ed imparare e perseguire i loro interessi.
Mi sembra che i bambini abbiano bisogno di insegnanti quanto ne hanno di bulli. Mi sembra che quel di cui hanno bisogno è divertimento, amici rispettosi e talentuosi di tutte le età, che sanno un sacco di cose. E alberi, erba, e librerie.
David Rovics
Fonte: http://songwritersnotebook.blogspot.com/
Link: http://songwritersnotebook.blogspot.com/2007/12/raising-leila.html
21.12.2007
Traduzione a cura di CARLO MARTINI per www.comedonchisciotte.org e http://scuolalibera.blogspot.com/
martedì 15 aprile 2008
CRESCENDO LEILA
Pubblicato da Carlo Martini alle 22:23 0 commenti
Etichette: infanzia, musica, scuola dell'obbligo
giovedì 10 aprile 2008
L'INSEGNANTE DI SETTE LEZIONI
DI JOHN TAYLOR GATTO
Chiamatemi professor Gatto, per favore. Ventisei anni fa, non avendo in quel momento niente di meglio da fare, provai a fare il professore di scuola. La mia licenza certifica che sono un insegnante di lingua e letteratura inglese, ma non è affatto ciò di cui mi occupo. Non insegno l'inglese, insegno la scuola - e facendolo vinco anche dei premi.
La parola "Insegnare" ha significati diversi in luoghi diversi, ma sette lezioni sono universalmente impartite da Harlem [quartiere nero di New York, in passato simbolo di degrado, ndt] ad Hollywood Hills. Queste costituiscono un curriculum nazionale per cui pagate in più modi di quanti possiate immaginare, quindi dovreste ben sapere di cosa si tratta. Siete liberi, ovviamente, di considerare queste lezioni in qualunque modo vogliate, ma credetemi quando dico di non voler fare alcuna ironia in questa presentazione. E' questo che insegno, mi pagano per insegnare quanto segue. Fate di queste lezioni quel che volete.1. CONFUSIONE
L'altro giorno una signora di nome Kathy mi ha scritto da Dubois, Indiana:
"Quali grandi idee sono importanti per i bambini piccoli? Beh, la più grande idea di cui penso abbiano bisogno è che quanto stanno imparando non è stravagante - è un qualche sistema di approccio, e non sta semplicemente piovendo loro addosso mentre assorbono impotenti. E’ questo il compito: capire, rendere coerente".
Kathy si sbagliava. La prima lezione che insegno è quella della confusione. Tutto ciò che insegno è fuori contesto... Insegno la non-correlazione di tutto. Insegno le sconnessioni. Insegno troppo: orbite dei pianeti, legge dei grandi numeri, schiavitù, aggettivi, disegno architettonico, danza, ginnastica, coro, assemblee, ospiti a sorpresa, allarmi antincendio, linguaggi informatici, serate di genitori, giornate per la formazione dello staff, programmi extrascolastici, consigli da estranei che i miei studenti potrebbero non rivedere mai più, test standardizzati, segregazione per età come mai vista nel mondo esterno... Ma cosa hanno a che fare queste cose tra di loro?
Anche nelle scuole migliori un attento esame del programma e della sua sequenza rivela una mancanza di coerenza, piena di contraddizioni interne. Fortunatamente i bambini non hanno le parole per definire il panico e la rabbia che provano per le costanti violazioni dell'ordine naturale e della sequenza che viene rifilata loro come qualità nell'educazione. La logica della mente scolastica è che sia meglio lasciare la scuola con un bagaglio di gergo superficiale derivato dall’economia, dalla sociologia, dalle scienze naturali e così via, piuttosto che lasciare i bambini con il loro genuino entusiasmo. Ma la qualità nell'educazione impone di imparare qualcosa in profondità. La confusione è inculcata ai bambini da troppi adulti strani, ognuno dei quali lavora da solo con la minor relazione possibile con gli altri, solitamente vanagloriandosi di una maestria che non possiede.
L'apprendimento, e non dei fatti disconnessi, è quel che cercano gli esseri umani sani, e l'educazione è un sistema di codici per elaborare fatti grezzi in un significato. Dietro il mosaico delle routine scolastiche e l'ossessione della scuola per fatti e teorie, si trovano le vecchie, ma ben conservate, menzogne della ricerca umana. Questo è più difficile da vedere in una scuola elementare, dove la gerarchia dell'esperienza scolastica sembra aver maggior senso per via della relazione, semplice e d'indole buona, del "facciamo questo" e "facciamo quello", che viene assunta come se avesse un significato, e la clientela non ha ancora coscientemente distinto quanta poca sostanza ci sia dietro le apparenze, dietro questa recita.
Pensate a tutte le grandi sequenze naturali come imparare a camminare e imparare a parlare; seguendo la progressione della luce dall'alba al tramonto, osservando le antiche tecniche di un agricoltore, di un fabbro, di un calzolaio, guardando vostra madre che prepara il piatto per il Giorno del Ringraziamento - tutte le parti sono in perfetta armonia le une con le altre, ogni azione si giustifica da sé e illumina il passato e il futuro. Le sequenze scolastiche non sono così, non è così in una sola lezione e tantomeno nel complesso delle lezioni quotidiane. Le routine scolastiche sono folli. Non c'è alcuna ragione particolare per nessuna di esse, nulla che meriti un'attenta analisi. Pochi insegnanti oserebbero insegnare gli strumenti se i dogmi di una scuola o di un insegnante potessero essere criticati, in quanto tutto deve essere accettato. Le materie scolastiche vengono imparate se possono essere imparate, così come i bambini imparano il catechismo o imparano a memoria i trentanove articoli della Chiesa Anglicana.
Io insegno la non-correlazione di tutto, una frammentazione infinita che è l’opposto della coesione; quel che faccio è più vicino ad una programmazione televisiva che alla composizione di uno schema ordinato. In un mondo dove la casa è solo un fantasma perché entrambi i genitori lavorano, o perché troppi trasferimenti o cambi di lavoro o troppa ambizione o altro hanno lasciato tutti troppo confusi per conservare una relazione familiare, io vi insegno ad accettare la confusione come vostro destino. Questa è la mia prima lezione.
2. POSIZIONE DELLA CLASSE
La seconda lezione che insegno è la posizione della vostra classe. Insegno che gli studenti devono rimanere nella classe a cui appartengono. Non so chi decida che i miei bambini le appartengano ma non è affar mio. I bambini sono numerati di modo che se qualcuno si allontana possa essere fatto tornare nella classe giusta. Nel corso degli anni la varietà di modi in cui i bambini vengono numerati dalle scuole è drammaticamente aumentata, al punto che è diventato difficile distinguere gli esseri umani sotto il peso dei numeri che portano. Numerare i bambini è un’impresa grande e molto proficua, anche se sfugge il senso di ciò che questa strategia mira a realizzare. Non so neanche perché i genitori dovrebbero consentire, senza protestare, che venga fatto questo ai loro figli.
Ad ogni modo, ancora una volta, questi non sono affari miei. Il mio compito è far piacere loro il fatto di essere rinchiusi insieme ad altri bambini che hanno addosso dei numeri come loro. O almeno di tollerarlo come se si trattasse di una buona pratica sportiva. Se faccio bene il mio lavoro, i ragazzi non possono neanche immaginarsi in un altro posto, perché ho mostrato loro come invidiare e rispettare le classi migliori e come provare disprezzo per le classi insulse. Con questa efficiente disciplina la classe si controlla per lo più da sé rispettando un buon ordine di marcia. E’ questa la lezione autentica di qualsiasi competizione truccata come la scuola. Si arriva a sapere qual è il proprio posto.
Nonostante il programma globale di classe dia per scontato che il novantanove percento dei ragazzi si trovi nella propria classe per restarvi, faccio tuttavia uno sforzo pubblico per spingere i bambini verso livelli più alti di buona riuscita negli esami, ventilando un eventuale trasferimento dalla classe inferiore come fosse una ricompensa. Spesso lascio intendere che arriverà il giorno in cui un datore di lavoro li assumerà in base a dei punteggi e dei voti, anche se la mia esperienza dice che i datori di lavoro sono, giustamente, indifferenti a queste cose. Non mento mai spudoratamente, ma sono giunto al punto di vedere che verità e insegnamento sono, in fondo, incompatibili proprio come diceva Socrate lo fossero migliaia di anni fa. La lezione delle classi numerate è che ognuno ha un proprio posto nella piramide e che non c’è alcuna via d’uscita dalla propria classe se non con la magia dei numeri. In mancanza di questa, si è costretti a rimanere dove si viene messi.
3. INDIFFERENZA
La terza lezione che insegno ai ragazzi è quella dell’indifferenza. Insegno ai bambini a non preoccuparsi troppo per qualcosa, anche se vogliono far vedere che è così. Il modo in cui lo faccio è molto sottile. Io pretendo che si coinvolgano totalmente nelle mie lezioni, balzando in piedi e risedendosi di scatto sulle loro sedie come se non vedessero l’ora di farlo, facendo a gara vivacemente l’uno con l’altro per ottenere la mia approvazione. Mi sento gratificato quando si comportano così; fa impressione a tutti, me compreso. Quando sono al meglio delle mie possibilità pianifico con molta attenzione le mie lezioni, per produrre questo spettacolo di entusiasmo. Ma quando suona la campanella io insisto affinché si fermino, a qualsiasi cosa stessero lavorando, e che procedano senza indugio alla sessione di lavoro successiva. Devono accendersi e spegnersi come un interruttore. Nulla d’importante viene mai finito nella mia classe, né in altre classi che conosco. Gli studenti non hanno mai un’esperienza completa se non del piano delle rate.
La lezione della campanella infatti insegna che nessun lavoro vale la pena di essere finito, quindi perché preoccuparsi troppo per qualcosa? Anni ed anni di campanelle abitueranno tutti, tranne i più forti, ad un mondo che non può più offrire un’occupazione importante da fare. Le campanelle rappresentano la logica segreta dell’orario scolastico; la loro logica è inesorabile. Le campanelle distruggono il passato ed il futuro, rendendo identico ogni intervallo, come l’astrazione di una mappa fa risultare identici ogni fiume ed ogni montagna esistenti, anche se non lo sono. Le campanelle infondono d’indifferenza ogni iniziativa.
4. DIPENDENZA EMOTIVA
La quarta lezione che insegno è quella della dipendenza emotiva. Con stelle e segni rossi, sorrisi e occhiatacce, premi, onori e disonori, io insegno ai ragazzi a rinunciare alla loro volontà in favore della catena di comando prestabilita. I diritti possono essere concessi o negati senza appello da qualsiasi autorità, perché i diritti non esistono all’interno di una scuola – nemmeno il diritto alla libertà di parola, come stabilito dalla Corte Suprema – a meno che le autorità scolastiche non dicano diversamente. Come insegnante, io intervengo in molte decisioni personali, fornendo un permesso a coloro che ritengo giustificati, o dando inizio ad un confronto disciplinare per comportamenti che minacciano il mio controllo. L’individualità tenta costantemente di affermarsi tra i bambini e gli adolescenti, per cui le mie sentenze arrivano velocemente e in abbondanza. L’individualità rappresenta una contraddizione della teoria di classe, una maledizione per tutti i sistemi di classificazione.
Ecco alcuni dei modi più comuni in cui si manifesta: i bambini sgusciano fuori per godersi un momento in privato in bagno col pretesto di un bisogno urgente, oppure rubano un istante tutto per loro in corridoio perché devono bere. Lo so che in realtà non ne hanno bisogno, ma permetto loro di imbrogliarmi perché questo li condiziona a dipendere dalla mia approvazione. A volte la libera volontà appare proprio di fronte a me in bambini arrabbiati, depressi o felici per delle cose che sono al di là della mia comprensione; i diritti relativi a queste materie non possono essere riconosciuti dagli insegnanti, solo i privilegi che possono essere revocati, garanzie di una buona condotta.
5. DIPENDENZA INTELLETTUALE
La quinta lezione che insegno è quella della dipendenza intellettuale. Le persone in gamba aspettano che un insegnante dica loro cosa fare. E’ la lezione più importante: dobbiamo attendere che altre persone, più esperte di noi, creino i significati delle nostre vite. L’esperto fa tutte le scelte importanti; solo io, l’insegnante, sono in grado di stabilire cosa voi dobbiate studiare, o piuttosto, solo le persone che mi pagano possono prendere quelle decisioni che io poi metto in atto. Se mi viene detto che l’evoluzione è un dato di fatto e non una teoria, io trasmetto questo come mi è stato ordinato, punendo i devianti che si oppongono a ciò che mi è stato detto di dire loro di pensare. Questo potere di controllare ciò che i bambini penseranno mi permette di separare con successo gli studenti dai fallimenti molto facilmente.
I bambini di successo pensano che io li nomini con un minimo di resistenza e un’onesta parvenza di entusiasmo. Tra milioni di cose che meriterebbero di essere studiate, stabilisco io qual è quel poco per cui abbiamo tempo, o meglio, sono i miei anonimi datori di lavoro che lo decidono. Le scelte spettano a loro, perché dovrei discutere? La curiosità non ha un ruolo importante nel mio lavoro, solo la conformità ce l’ha.
Naturalmente i ragazzi cattivi sfidano tutto ciò, anche se mancano loro i concetti per sapere contro cosa combattono, e lottano per prendere decisioni per se stessi su cosa impareranno e quando lo impareranno. Come possiamo permettere questo e nello stesso tempo sopravvivere come insegnanti? Per fortuna ci sono dei metodi per forzare la volontà di coloro che oppongono resistenza; certo, è più difficile se il ragazzo ha dei buoni genitori che vengono in suo aiuto, ma questo accade sempre meno, malgrado la cattiva reputazione che hanno le scuole. A dire il vero, io non ho mai incontrato nessun genitore appartenente al ceto medio che pensasse che la scuola di suo figlio rientrasse tra quelle scadenti. Non un solo genitore in ventisei anni d’insegnamento. Questo è sorprendente ed è probabilmente la miglior testimonianza di ciò che accade alle famiglie quando madre e padre sono stati essi stessi ben istruiti, attraverso l’insegnamento delle sette lezioni.
Le persone in gamba aspettano che sia un esperto a dir loro cosa fare. Non è certo un’esagerazione affermare che la nostra intera economia dipende da quanto viene appresa questa lezione. Pensate che rovina se i ragazzi non venissero educati ad essere dipendenti: le imprese che si occupano di servizi sociali non potrebbero certo sopravvivere; sparirebbero, penso, in quel limbo della storia recente dal quale sono sorte. Consulenti e terapeuti guarderebbero con orrore sparire le loro scorte di invalidi psichici. L’intrattenimento commerciale di ogni sorta, compresa la televisione, appassirebbe nel momento in cui la gente imparasse di nuovo a divertirsi da sé. Ristoranti, rosticcerie e un gran mucchio di altri servizi assortiti legati alla ristorazione verrebbero drasticamente ridimensionati se le persone tornassero a prepararsi il cibo da sole, invece di dipendere da estranei che piantano, raccolgono, tritano, e cucinano per loro. Anche una buona parte del diritto moderno, della medicina, e dell’ingegneria verrebbe meno, così come l’industria dell’abbigliamento e l’insegnamento scolastico, a meno che ogni anno una scorta assicurata di persone incapaci non continuasse ad uscire a frotte dalle nostre scuole.
Non siate troppo pronti a votare a favore della riforma radicale della scuola, se volete continuare a ricevere la busta paga. Abbiamo costruito un modo di vivere che dipende da persone che fanno ciò che viene loro detto, perché non sanno come dire a loro stesse cosa fare. Questa è una delle più grandi lezioni che insegno.
6. AUTOSTIMA PROVVISORIA
La sesta lezione che insegno è quella dell’autostima provvisoria. Se avete mai provato a lottare con un ragazzo giunto al livello in cui i genitori lo hanno convinto a credere che lo ameranno malgrado tutto, sapete già quanto impossibile sia riuscire a conformare gli spiriti che sono sicuri di sé. Il nostro mondo non sopravvivrebbe a lungo ad un’alluvione di persone sicure di sé, quindi io insegno che il rispetto di sé dovrebbe essere subordinato all’opinione di un esperto. I miei ragazzi sono costantemente valutati e giudicati.
Una relazione mensile, la cui preparazione è impressionante, viene inviata a casa degli studenti per segnalare l’approvazione o per indicare esattamente, fino ad un particolare punto percentuale, quanto dovrebbero essere scontenti i genitori dei loro figli. L’ecologia della "buona" istruzione dipende dal fatto di perpetuare l’insoddisfazione, proprio quanto l’economia commerciale dipende dallo stesso fertilizzante. Benché alcune persone possano essere sorprese di quanto poco tempo o riflessione ci voglia per raggiungere questi record matematici, il peso complessivo di documenti apparentemente oggettivi stabilisce un profilo che obbliga i bambini a giungere a certe decisioni su loro stessi ed il loro futuro basate sul giudizio accidentale di un estraneo. L’auto-valutazione, argomento principale di ogni grande sistema filosofico che sia mai apparso sul pianeta, non è mai considerata un fattore. La lezione delle pagelle, dei voti, e degli esami è che i bambini non dovrebbero aver fiducia in se stessi o nei loro genitori, ma dovrebbero invece fare affidamento sulla valutazione di funzionari certificati. La gente ha bisogno di sentirsi dire quanto vale.
7. NON CI SI PUÒ NASCONDERE
La settima lezione che insegno è che non ci si può nascondere. Io insegno ai bambini che sono sempre tenuti d’occhio, che ognuno è sorvegliato costantemente da me e dai miei colleghi. Non esistono spazi privati per i bambini, non esiste del tempo privato. Il cambio di classe dura trecento secondi per mantenere a livelli bassi la socializzazione indiscriminata. Gli studenti vengono incoraggiati a spettegolare su loro stessi o anche sui propri genitori. Naturalmente io incoraggio i genitori anche a prendere nota della cocciutaggine del proprio figlio. Una famiglia addestrata a fare la spia su se stessa è improbabile che nasconda eventuali segreti pericolosi.
Io assegno un tipo di istruzione allargata chiamata "compiti a casa", di modo che l’effetto della sorveglianza, se non quella stessa sorveglianza, si rechi nella sfera privata delle famiglie, dove gli studenti altrimenti potrebbero usare il tempo libero per imparare qualcosa di non autorizzato da un padre o da una madre, esplorando, o facendo pratica da qualche persona saggia del vicinato. La slealtà nei confronti dell’idea di istruzione è un diavolo sempre pronto a trovare un lavoro per mani oziose.
Il significato della sorveglianza costante e della negazione della privacy è che non si può aver fiducia di nessuno, che la privacy non è lecita. La sorveglianza è un antico imperativo, sposato da certi pensatori influenti, una prescrizione fondamentale messa per iscritto nella Repubblica, nella Città di Dio, nell’Istituzione della religione cristiana, nella Nuova Atlantide, nel Leviatano, e in un mucchio di altre opere. Tutti questi uomini senza figli che scrissero questi libri scoprirono la stessa cosa: i bambini devono essere controllati da vicino, se si vuole mantenere una società sotto uno stretto controllo centrale. I bambini seguiranno un percussionista solitario se non si riesce ad inserirli in una banda uniformata.
IIIl grande trionfo della scolarizzazione di massa obbligatoria del governo monopolista è che anche tra i migliori dei miei colleghi insegnanti, e tra i migliori genitori dei miei studenti, solo una minima parte riesce ad immaginare un modo diverso di fare le cose. "I ragazzi devono sapere leggere e scrivere, no?" "Devono sapere fare le addizioni e le sottrazioni, no?" "Devono imparare ad eseguire degli ordini se si aspettano di mantenere un posto di lavoro".
Solo poche generazioni fa le cose erano molto diverse negli Stati Uniti. L’originalità e la varietà erano moneta corrente; la nostra libertà da ogni inquadramento ci ha resi il miracolo del mondo; i confini tra le classi sociali erano abbastanza semplici da attraversare; i nostri cittadini erano meravigliosamente sicuri di sé, creativi, e capaci di fare molto per se stessi in modo indipendente, e di pensare per se stessi. Eravamo qualcosa di speciale, noi Statunitensi, tutti autonomi, senza che il governo ficcasse il naso nelle nostre vite, senza che le istituzioni e gli enti sociali ci dicessero come pensare e sentire. Eravamo qualcosa di speciale, come individui, come Statunitensi.
Ma negli Stati Uniti abbiamo avuto essenzialmente una società con un potere centrale da poco prima della Guerra Civile, e una società di questo tipo richiede una scolarizzazione obbligatoria, una scolarizzazione monopolistica del governo, per mantenersi efficiente. Prima di questo sviluppo l’istruzione non era molto importante in nessun luogo. Ce l’avevamo, ma non troppa, e solo nella misura in cui un individuo la desiderasse. Si imparava comunque a leggere, a scrivere, e a far di conto molto bene; esistono alcuni studi che rivelano che il grado di istruzione all’epoca della Rivoluzione Americana, per lo meno per coloro che non erano schiavi sulla costa orientale, era quasi universale. Il Buon Senso di Thomas Paine vendette 600.000 copie in una popolazione di 3.000.000 di abitanti, il 20% dei quali erano schiavi, ed il 50% servitori a contratto.
I coloni erano dei geni? No, la verità è che leggere, scrivere e l’aritmetica richiedono solamente circa cento ore per essere trasmessi, a condizione che l’uditorio sia diligente e desideroso di imparare. Il trucco è quello di attendere finché qualcuno non fa una domanda, e poi procedere velocemente mentre l’atteggiamento è ricettivo. Milioni di persone insegnano l’una all’altra queste cose, in realtà non è tanto difficile. Prendiamo una quinta classe di matematica o un manuale di retorica del 1850 e si vedrà che allora i testi erano impostati su quello che oggi sarebbe considerato un livello universitario. Il richiamo continuo alla pratica delle "competenze di base" è una cortina fumogena attraverso la quale le scuole si appropriano del tempo dei ragazzi per dodici anni, insegnando loro le sette lezioni che vi ho appena descritto.
La società che, da poco prima della Guerra Civile, è sempre più controllata dal potere centrale si mostra nelle vite che conduciamo, nei vestiti che indossiamo, nel cibo che mangiamo, e nei cartelli autostradali verdi accanto ai quali passiamo viaggiando da una costa all’altra, che sono tutti prodotti di questo controllo. Questo vale anche, a mio avviso, per le epidemie di droghe, di suicidi, di divorzi, di violenza, di maltrattamenti, per il fatto che la classe diventi casta, quale prodotto della disumanizzazione delle nostre vite negli Stati Uniti, per la riduzione dell’importanza dell’individuo, della famiglia e della comunità, una diminuzione che procede dal potere centrale. Non ci si può sottrarre al carattere delle grandi istituzioni coercitive; esse vogliono sempre di più finché non rimane più nulla da dare. La scuola porta via ai nostri figli ogni possibilità di esercitare un ruolo attivo in una vita di comunità – di fatto distrugge le comunità relegando la formazione dei bambini nelle mani di esperti certificati – e facendo ciò garantisce che in nostri figli non potranno crescere pienamente umani. Aristotele insegnava che senza un ruolo pienamente attivo nella vita comunitaria non era possibile sperare di diventare un essere umano sano. Sicuramente aveva ragione. Guardatevi intorno la prossima volta che passate vicino ad una scuola o ad un’oasi per anziani, se ne volete una prova.
La scuola, così com’è stata creata, è un sistema di sostegno essenziale ad una visione di ingegneria sociale che condanna la maggior parte della gente ad essere pietre di ordine inferiore in una piramide che si restringe innalzandosi ad un terminale di controllo. La scuola è un artificio che fa sembrare inevitabile un ordine sociale piramidale di questo tipo, sebbene una tale premessa costituisca un tradimento fondamentale della Rivoluzione Americana. Dall’epoca del colonialismo fino al periodo della Repubblica non avevamo scuole di cui parlare – basta leggere l’Autobiografia di Benjamin Franklin per avere l’esempio di un uomo che non aveva tempo da perdere a scuola - eppure iniziava ad essere realizzata la promessa della democrazia. Volgevamo le spalle a questa promessa resuscitando l’antico sogno faraonico dell’Egitto: sottomissione forzata per tutti. Era questo il segreto di cui Platone parlò con riluttanza nella Repubblica, quando Glaucone e Adimanto sollecitavano da Socrate il progetto per il controllo totale della vita umana da parte dello stato, un progetto necessario per mantenere una società in cui alcune persone prendono più della loro parte. "Vi mostrerò", dice Socrate, "come determinare una tale città affetta da infiammazione, ma non vi piacerà ciò che sto per dire". E così è stato delineato per la prima volta il programma della scuola delle sette lezioni.
L’attuale dibattito su se si debba avere un programma a livello nazionale è fasullo. Abbiamo già un programma nazionale racchiuso nelle sette lezioni che ho appena delineato. Un tale programma genera una paralisi fisica, morale ed intellettuale, e nessun programma di contenuto sarà sufficiente a capovolgere i suoi esecrabili effetti. Ciò che in questo momento è in discussione nel nostro isterismo scolastico nazionale a proposito dello scarso rendimento accademico non afferra il punto. Le scuole insegnano proprio quello che intendono insegnare e lo fanno bene: come si può essere un buon Egiziano e rimanere al proprio posto nella piramide.
IIINiente di tutto ciò è inevitabile. Niente di tutto ciò è impossibile da rovesciare. Abbiamo delle alternative su come educare i giovani; non esiste un modo giusto o sbagliato. Se ci aprissimo un varco nel potere dell’illusione piramidale lo vedremmo. Non c’è nessuna competizione internazionale all’ultimo sangue che minacci la nostra esistenza nazionale, difficile come quell’idea sia persino da pensare, e tanto meno da credere, in presenza di un continuo fuoco di fila mediatico di miti al contrario. Sotto ogni importante aspetto materiale la nostra nazione è autosufficiente, energia compresa. Mi rendo conto che quell’idea è in contrasto con il pensiero più alla moda degli esperti di economia politica, ma la "profonda trasformazione" della nostra economia di cui parlano queste persone non è né inevitabile, né irreversibile. L’economia globale non parla al bisogno collettivo di un lavoro che abbia un senso, di una casa che sia accessibile, di un’istruzione soddisfacente, di cure mediche adeguate, di un ambiente pulito, di un governo onesto e responsabile, di un rinnovamento sociale e culturale, o semplicemente di giustizia. Tutte le aspirazioni universali sono basate su una definizione di produttività ed io sono convinto che la bella vita così alienata dalla realtà umana comune sia sbagliata, e che la maggior parte della gente sarebbe d’accordo con me se potesse percepire l’esistenza di un’alternativa. Potremmo essere in grado di vedere che se riacquistassimo il sostegno di una filosofia che individui il significato dove il significato è davvero da trovare – nelle famiglie, negli amici, nell’alternarsi delle stagioni, nella natura, nelle cerimonie e nei riti semplici, nella curiosità, nella generosità, nella compassione, e nel servizio agli altri, in una dignitosa indipendenza e nella riservatezza, in tutte le cose libere ed economiche di cui sono costituite le vere famiglie, i veri amici e le vere comunità - allora saremmo così autosufficienti che non avremmo bisogno neanche di quella "sufficienza" materiale che, secondo le insistenze dei nostri "esperti" globali, ci preoccupa tanto.
Come si sono creati questi luoghi terribili, queste "scuole"? Beh, un’istruzione occasionale è sempre stata presente in una varietà di forme, un accessorio moderatamente utile alla crescita. Ma l’"istruzione moderna" così come la conosciamo è un sottoprodotto delle due "Paure Rosse" del 1848 e del 1919, quando potenti interessi temevano una rivoluzione tra i nostri poveri dell’industria. L’istruzione generalizzata si è creata in parte anche perché le famiglie statunitensi da lunga data erano spaventate dalle culture native degli immigrati di origine celtica, slava, e latina degli anni ’40 del XIX secolo, e provavano avversione nei confronti della religione cattolica che questi portavano con sé. Un terzo fattore che ha contribuito alla creazione di una prigione per bambini chiamata scuola dev’essere stato senza dubbio la costernazione con cui questi stessi "statunitensi" guardavano il movimento degli afroamericani nella società sulla scia della Guerra Civile.
Diamo un’altra occhiata alle sette lezioni dell’insegnamento scolastico: confusione, posizione della classe, indifferenza, dipendenza emotiva e intellettuale, autostima provvisoria, sorveglianza – tutte queste cose rappresentano un addestramento fondamentale per classi inferiori fisse, per persone private per sempre della possibilità di trovare il centro del proprio genio speciale. E col passare del tempo questo addestramento si è scrollato di dosso la sua logica originaria: disciplinare i poveri. Perché fin dagli anni ‘20 la crescita della burocrazia scolastica, e lo sviluppo meno evidente di uno sciame di industrie che traggono profitto dall’istruzione esattamente così com’è, ha ampliato la portata originaria dell’istituzione, al punto che ora si impadronisce anche dei figli e delle figlie delle classi medie.
C’è forse da stupirsi se Socrate era indignato per l’accusa di aver preso dei soldi per insegnare? Anche allora, i filosofi vedevano chiaramente la direzione inevitabile che avrebbe preso la professionalizzazione dell’istruzione, accaparrandosi la funzione dell’insegnamento che, in una comunità sana, appartiene a chiunque.
Con delle lezioni come quelle che io insegno un giorno dopo l’altro, non dovremmo meravigliarci di essere in presenza di una vera e propria crisi a livello nazionale, la cui natura è molto diversa da quella indicata dai mezzi d’informazione nazionali. I giovani sono indifferenti nei confronti del mondo degli adulti e del futuro, indifferenti quasi a tutto tranne che al diversivo rappresentato dai giochi e dalla violenza. Ricchi o poveri, gli scolari che affrontano il XXI secolo non riescono a concentrarsi a lungo su qualcosa; hanno uno scarso senso del tempo passato e di quello a venire. Sono diffidenti verso l’intimità, come i figli del divorzio che effettivamente sono (perché noi li abbiamo separati dall’importante attenzione parentale); odiano la solitudine, sono crudeli, materialisti, dipendenti, passivi, violenti, timidi in presenza di qualcosa di inaspettato, drogati di distrazioni.
Tutte le tendenze marginali dell’infanzia sono alimentate ed esaltate fino a rasentare il grottesco dall’istruzione che, attraverso il suo programma occulto, impedisce uno sviluppo efficace della personalità. Infatti senza sfruttare l’apprensione, l’egoismo e l’inesperienza dei bambini, le nostre scuole non potrebbero assolutamente sopravvivere, né lo potrei fare io in quanto insegnante qualificato. Nessuna scuola pubblica che osasse effettivamente insegnare l’uso degli strumenti del pensiero critico – come la dialettica, l’euristica, o altri mezzi di cui dovrebbero servirsi le menti libere – resisterebbe molto a lungo prima di essere fatta a pezzi. La scuola è diventata il sostituto della chiesa nella nostra società laica, e proprio come la chiesa esige che ai suoi insegnamenti si creda per fede.
E’ giunto il momento in cui affrontare direttamente il fatto che l’insegnamento scolastico istituzionale è distruttivo per i bambini. Nessuno sopravvive completamente incolume al programma delle sette lezioni, nemmeno gli educatori. Il metodo è profondamente e completamente antieducativo. Non si può tentare di rabberciarlo. Per una delle grandi ironie delle faccende umane, il pieno ripensamento di cui hanno bisogno le scuole costerebbe molto meno di quello che stiamo sborsando, ora che potenti interessi non possono permettere che accada. Dovete capire che prima di tutto l’affare in cui sono coinvolto è un progetto di posti di lavoro e un’agenzia per la stipula di contratti. Non possiamo permetterci di risparmiare soldi riducendo la portata della nostra operazione o diversificando il prodotto che offriamo, neppure per aiutare i bambini a crescere nel modo giusto. E’ questa la legge di ferro dell’istruzione istituzionale – è un affare che non è soggetto né alle normali procedure contabili, né al bisturi razionale della concorrenza.
Una qualche forma di sistema del libero mercato nell’istruzione pubblica è il luogo più probabile per cercare delle risposte, un libero mercato in cui le scuole a gestione familiare, le piccole scuole imprenditoriali, le scuole gestite da religiosi, le scuole artigiane e le scuole-fattorie esistano in abbondanza e competano con l’educazione in mano al governo. Io sto cercando di descrivere un libero mercato nell’istruzione proprio come quello che il paese possedeva fino alla Guerra Civile, quello in cui gli studenti si imbarcano nel tipo di educazione che è adatta a loro, anche se questo significa educarsi da sé; non ha fatto male a Benjamin Franklin, da quel che vedo. Queste possibilità attualmente esistono in meravigliosi resti in miniatura di un passato forte e vigoroso, ma sono accessibili solo agli intraprendenti, ai coraggiosi, ai fortunati, o ai ricchi. La quasi impossibilità che una di queste strade migliori si apra alle famiglie in frantumi dei poveri, o alla schiera di perplessi accampata ai margini della borghesia urbana suggerisce che il disastro delle scuole delle sette lezioni sta diventando sempre più grande, a meno che non facciamo qualcosa di coraggioso e decisivo con quel pasticcio dell’istruzione monopolista del governo.
Dopo una vita adulta spesa nell’insegnamento, credo che il metodo della scolarizzazione di massa sia il suo solo vero contenuto. Non fatevi ingannare pensando che un buon curriculum o una buona preparazione o dei buoni insegnanti siano i fattori determinanti cruciali dell’educazione dei vostri figli. Tutte le patologie che abbiamo esaminato si verificano in larga misura perché le lezioni scolastiche impediscono ai bambini di mantenere appuntamenti importanti con se stessi e con le loro famiglie, apprendendo le lezioni dell’automotivazione, della perseveranza, dell’autonomia, del coraggio, della dignità e dell’amore – e anche le lezioni del servizio agli altri, che sono fondamentali per la vita domestica e comunitaria.
Trent’anni fa [nei primi anni ‘60] queste cose potevano essere ancora imparate nelle ore che rimanevano dopo la scuola. Ma la televisione ha fagocitato la maggior parte di questo tempo, e una combinazione di televisione e tensioni proprie delle famiglie con due redditi o monoparentali hanno inghiottito anche molta parte di ciò che era solito essere il tempo dedicato alla famiglia. I nostri figli non hanno del tempo a disposizione per crescere pienamente umani, solo deserti dal terreno magro da mandare in rovina.
Sulla nostra cultura sta precipitando un futuro che insisterà nel far imparare a noi tutti la saggezza dell’esperienza immateriale; un futuro che pretenderà come prezzo della sopravvivenza che noi seguiamo un percorso di vita naturale economico nel costo materiale. Queste lezioni non possono essere insegnate nelle scuole così come sono. La scuola è una sentenza da dodici anni di carcere, in cui le cattive abitudini rappresentano il solo programma davvero insegnato. Io insegno la scuola e facendolo vinco dei premi. Ne so qualcosa.
John Taylor Gatto, insegnante dell'anno 1991 nello stato di New York, è l'autore di questo e di molti altri saggi che si trovano nel libro Dumbing Us Down.Link: http://hometown.aol.com/tma68/7lesson.htm
Traduzione per www.comedonchisciotte.org e http://scuolalibera.blogspot.com a cura di CRISTINA MAZZAFERRO LEGGI IL RESTO DEL POST
Pubblicato da Carlo Martini alle 14:04 2 commenti
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