Ho aggiunto ai download il libro Summerhill - Un'esperienza educativa rivoluzionaria di A. S. Neill, che ho trovato nella sezione download del sito LeEsperienze.org
Buona lettura.
sabato 19 gennaio 2008
SUMMERHILL - IL LIBRO DI A. S. NEILL
Pubblicato da Carlo Martini alle 10:44 0 commenti
Etichette: infanzia, libri, non-scuole, Summerhill
martedì 15 gennaio 2008
ANARCHIA IN CLASSE - PAIDEIA, MERIDA, SPAGNA
DI ISABELLE FREMAUX & JOHN JORDAN
I Sentieri dell'Utopia - Un viaggio di sette mesi attraverso l'Europa alla ricerca di modi di vivere utopici contro il capitalismo
"Siamo quelli che costruiscono questi luoghi, queste città... noi lavoratori possiamo rimpiazzarli con edifici più nuovi e belli. Le rovine non ci spaventano. La Terra sarà il nostro retaggio, non ci sono dubbi. Lasciamo che la Borghesia mandi in frantumi il suo mondo prima di lasciare il palcoscenico della storia. Portiamo un nuovo mondo nei nostri cuori e quel mondo continuerà a crescere. Sta crescendo anche ora, mentre parlo".
Buenaventura Durruti (Anarchica spagnola che inventò l'esproprio bancario e usò i ricavati per finanziare una scuola anarchica) intervistata dal Toronto Daily Star, ottobre 1936.
Merida, una delle più importanti città dell'impero romano, è letteralmente costruita sulle rovine, e si estende nell'arido confine a sud-ovest della penisola iberica. Molti dei suoi moderni edifici si innalzano dalle macerie in esposizione, a volte incorporandole nelle loro stesse strutture. Il calcestruzzo levigato e il vetro sono giustapposti a macerie ruvide e antiche. Dopo le indicazioni rosa che portano all'ufficio turistico ci sono simili cartelli per il tempio di Diana: qui il passato puntella il presente ad ogni angolo. L'impero romano collassò a causa di una morsa militare ed ecologica, ed il giorno in cui arriviamo ogni bandiera è a mezz'asta. Due soldati spagnoli uccisi in Afghanistan. Raramente gli imperi imparano lezioni gli uni dagli altri.
Per 29 anni questa città ha ospitato quella che è una delle più durature Scuole Anarchiche - Paideia. Il nome viene dal concetto ateniese di costruzione del carattere, qualcosa che era visto come il processo educativo chiave della democrazia diretta nella polis. La scuola è uno straordinario laboratorio di cittadinanza radicale. Se le Utopie sono luoghi che ci sfidano a colmare il gap tra quel che è fatto e l'impossibile, allora i nostri tre giorni di visita a Paideia l'hanno certamente fatto. Questo mondo sottosopra - una scuola senza campanelle, dove i bambini sono in cattedra e dove il programma è incentrato sui valori anarchici - ci ha insegnato sulla libertà più di qualunque altra cosa avessimo mai sperimentato prima.
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"Attenti al presente che create, perché potrebbe assomigliare al futuro che sognate"
Mujeres Creando (gruppo boliviano di anarco-femministe di strada). Citato sui muri della classe per bambini.
Situata in una vecchia fattoria a due piani, colorata di un giallo pastello, su quelli che erano un tempo i confini della città, fino all'anno scorso Paideia era circondata da lussureggianti oliveti verdi a perdita d'occhio. Quest'anno ogni singolo alberello è stato abbattuto dai bulldozer e ora la scuola giace in un mare di fango solcato da ruote e strade parzialmente costruite. Un tempo era una scuola libera nella campagna, adesso è un'oasi paralizzata nel mezzo di un inferno di sprawl urbano. Enormi bulldozer le vagano attorno, emettendo rumorose vibrazioni che attraversano i muri e i pavimenti in pietra. Il prossimo anno sarà circondata da 1.500 identiche case suburbane, un altro sviluppo speculativo della Spagna, il cui motto aziendale è orgogliosamente presentato sugli annunci sopra la devastazione, che ricorda la Somma francese: "Stiamo creando il futuro".
Il quadrimestre è appena iniziato quando arriviamo. Il nostro primo incontro si svolge di sera, con gli otto membri dello staff, i quali sono insieme ai 58 studenti dalle 10 del mattino fino alle 6 di sera e poi si occupano dell'amministrazione fino alle 9. Nonostante le lunghe giornate di lavoro, ci accolgono con grande calore e numerosi baci. Ci sediamo attorno ad una grande tavola circondata da scaffali di libri e pile di documenti. Kim e Carlos, amici dalla permacoltura collettiva di Escanda, in Asturias, sono venuti per aiutarci a tradurre. Kim ha istituito il collettivo di educazione popolare radicale Trapeze, che ha girato l'Europa durante molte grandi mobilitazioni contro i summit capitalisti. Carlos, che adesso lavora ai piani di Escanda per una fattoria ad energia eolica della comunità, insegnava Spagnolo agli immigrati in un centro educativo occupato a Madrid. Hanno sempre voluto visitare questa mitica fondazione educativa. La scorsa notte, al Campo, abbiamo ammesso che eravamo tutti un po' ansiosi di visitare la scuola. Infatti ci sentivamo proprio come al primo giorno di scuola, un ricordo molto vecchio per noi, ma riconoscevano i nodi e l'apprensione nei nostri stomaci. Nonostante la sua lunga storia, poche persone hanno il privilegio di visitare Paideia, e non è chiaro perché ce lo abbiano permesso, sebbene il fatto che si definisca un'Utopia in molte delle sue pubblicazioni ha probabilmente aiutato.
Pepa, una corpulenta sessantenne, è tra i fondatori della scuola. Nonostante i suoi brillanti capelli tinti di rosso sembra ancora la più normale insegnante scolastica possibile, allo stesso modo delle altre sette donne e dell'unico uomo che siedono attorno al tavolo con noi. Ci spiega che le prime settimane dopo l'estate sono sempre differenti dal modo in cui funziona regolarmente la scuola. "Ritornare dalla vacanze estive è sempre un problema", dice, "per due mesi i ragazzi vivono con i loro genitori e nonni, che iniziano a fare tutto per loro, così perdono la propria autonomia". Al cuore della filosofia della scuola c'è l'autonomia e l'auto-gestione. Ogni aspetto della scuola è gestito mediante assemblee, dal decidere il menu del pranzo agli orari, dai conflitti personali a quali materie didattiche scegliere. Tutto è discusso e deciso collettivamente senza gerarchia e imposizione da parte dello staff. Gli studenti dai 18 mesi ai 16 anni auto-gestiscono la scuola insieme. Cucinano, puliscono e prendono le decisioni sulla gestione.
A Paideia una delle molte cose che ho imparato è questa: essere liberi riguarda fondamentalmente il prendersi delle responsabilità individuali ed essere in grado di collaborare fluidamente in una comunità collettiva. "Quando tornano si dimenticano come fare le cose... come si tagliano le carote, cosa bisogna fare etc. Le loro menti non sono libere quando devono chiedere cosa fare", spiega Pepa. "Sono liberi quando sanno cosa vogliono... è più facile sentirsi dire cosa fare piuttosto che essere liberi, e così deleghi la tua responsabilità agli altri". Come risultato, la scuola è sotto quello che viene chiamato Mandado - ossia essere ordinato o richiesto. Descriverlo come una sorta di punizione collettiva sarebbe sbagliato. Nei tre giorni passati qui non c'è mai stato qualcuno che urlasse o alzasse la voce. E' una cultura di apprendimento temporanea imposta dallo staff. Visto che gli studenti non sono più in grado di prendere l'iniziativa per fare le cose senza dover chiedere alle figure di autorità, sono mandadi - viene detto loro cosa fare da parte degli insegnanti.
In seguito ho cercato di spiegarlo per telefono al mio figlio dodicenne, Jack, che si trova a Londra. Il motto della sua scuola è "Servire ed Obbedire", risplendente lungo l'araldico frontone di pietra sopra l'entrata. "Nella scuola anarchica sei nei guai se chiedi ad un insegnante il permesso di fare qualcosa piuttosto che darti da fare e farla da solo". Il suo confuso silenzio mostrava lo sforzo contro-intuitivo che abbiamo avuto tutti una volta realizzato cosa significava. Nella maggior parte delle scuole se non fai quello che ti viene detto sei nel torto. Qui se nel torto se ti aspetti che ti venga detto cosa fare.
Il Mandado rimane finché gli studenti decidono di convocare un'assemblea dove discutono collettivamente se siano ritornati allo stato di libertà o meno. Se votano tutti per la sua revocazione, viene revocato. "Devono ritrovare i loro valori anarchici", conclude Pepa. "Non ci vuole molto. Se vogliono essere liberi devono combattere per esserlo".
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"Non c'è al mondo un più sincero oggetto di pietà che un bimbo terrificato da ogni occhiata, che guarda con ansiosa incertezza i capricci di un pedagogo"
William Godwin (il primo grande filosofo dell'anarchismo e della felicità, il cui An Enquiry Concerning Political Justice ha avuto un enorme impatto nella Gran Bretagna del 18° secolo. Contenuto in An Account of the Seminary that will be Opened on Monday the Fourth Day of August, at Epsom in Surrey, for the Instruction of Twelve Pupils, 1783)
Arriva il bus della scuola, un lungo, lucente, nuovo, bianco pulmino. I bimbi sciamano fuori. I più grandi si danno le mani con i più piccoli, guidandoli tra i gradini e fino ai terreni della scuola, dove tutti accarezzano i due oziosi cani della scuola e sono baciati dagli insegnanti in attesa. Ho dolorose memorie di quando portavo mio figlio all'asilo, vedendo così tanti bambini che piangevano mentre venivano spinti oltre le porte delle istituzioni. Qui non sembrano esserci lacrime, solo sorrisi, corse e salti disinvolti. I bambini più piccoli, dai 18 mesi ai 5 anni, si separano dagli altri per dirigersi all'annesso asilo, mentre noi rimaniamo con i più grandi nell'edificio principale.
La prima cosa che accade quando arrivano è che il gruppo di cucina, sette ragazzi in età mista dai 5 ai 16 anni, va in cucina, si mette i grembiuli bianchi e inizia a preparare i menù del giorno. Fuori alcuni ragazzini stanno dondolando su un trapezio attaccato ad un vecchio albero di Cipro e altri stano spazzando con scope alte due volte più alte di loro. Nessuno sembra dir loro cosa fare, lo fanno e basta. Questa è forse una delle impressioni più durature: nonostante lo stato del Mandado, c'è un dinamismo costante ed un gran movimento di energici bambini in tutto l'edificio, che salgono sopra le cose senza essere rimproverati dal terrorizzante acuto di un'insegnante o da una campanella scolastica.
Nella cucina mi sento un po' tesa vedendo bambini di cinque anni che maneggiano grandi coltelli, tagliando diligentemente i pomodori e mescolando enormi calderoni d'argento per la bollitura del cibo. Mi sento chiedermi se sia sicuro e presto realizzo quanto indottrinata io sia divenuta dalla cultura del controllo della salute e della sicurezza che domina la moderna vita istituzionale.
Manu, sei anni, inizia ad acchiappare mosche nella sala da pranzo di fianco alla cucina. I muri sono tappezzati con citazioni, tra cui la famosa tirata del primo sedicente anarchico, Joseph Proudhon: "essere governati... significa essere sorvegliati, ispezionati, spiati, diretti, regolamentati, irregimentati, reclusi, indottrinati, predicati, stimati, valutati, censurati, comandati...". Letta in questo contesto diventa improvvisamente una buona descrizione della scuola tradizionale. "Mangiamo molti piatti diversi qui. E' il miglior cibo del mondo", dice Manu tra i vari colpi. Non posso davvero credere che i pranzi scolastici siano saliti sopra il livello di farina cotta in acqua. "E' la miglior scuola al mondo?", le chiedo mentre la aiuto ad arrotolare i tovaglioli. "Sì, certo", dichiara la sua grande faccia bruna mentre fa un largo sorriso ed armeggia con lo strofinaccio.
"Avanti, è ora di lavorare", dice Carlos dalla cucina. Nonostante abbia solo sette anni, e non sia il coordinatore ufficiale del gruppo di cucina, che è il tredicenne Arai, Carlos è in grado di capire quel che deve essere fatto e può spingere Manu a finirla con il massacro delle mosche. Ernesto, il più grande, spiega utilmente all'insegnate Kim chi è che comanda, dicendole di portare un solo piatto alla volta perché altrimenti risulterebbe pericoloso. Qui la cultura dell'aiuto è incredibile, che sia Ernesto mentre dice alla trentacinqenne Kim come si portano i piatti o i ragazzini più grandi che annodano le scarpe dei bambini, essa permea tutto a Paideia. Mentre vedo tutto questo, c'è un momento in cui desidererei trasportare qui ogni persona che mi ha detto "l'anarchia è caos" in questo squisito esempio di auto-organizzazione, e da parte di bambini!
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Ci si avvicina una sedicenne alta ed ossuta, con il volto dalle lentiggini a forma di cuore e delle enormi orecchie a sventola. Ci baciamo e poi si presenta con voce profonda come Jara. "Questa è l'ora del collettivo di lavoro", ci dice, gesticolando in completa sicurezza con le sue lunga dita. "Cucinare, pulire etc. Lasciate che vi spieghi il nostro orario". Ci porta ad un tabellone nell'entrata principale. La maggior parte degli avvisi sono scritti dai bambini con la loro calligrafia. Liste di gruppi di lavoro e vari orari. Vicino alle colorate liste dei gruppi di lavoro, decorate con disegni a pastello, sono appuntate le cartoline nero seppia del sindacato anarchico CNT, gestito dai ferrotramvieri e da operatori telefonici durante la Ricoluzione Anarchica del 1936.
"Dopo il lavoro collettivo facciamo colazione. Dalle undici e mezza fino all'una abbiamo un'assemblea generale o frequentiamo un gruppo di studio, dopo di che abbiamo il nostro tempo libero. Poi c'è il pranzo alle tre e un po' di lavoro collettivo fino alle quattro, poi un'ora e un quarto e alla fine il the pomeridiano". Janza capisce che sta dominando la conversazione e passa la parola a Manuel, un suo timido compagno. Lo incoraggia a continuare la spiegazione. E' raro vedere una tale sensibilità alle dinamiche di gruppo e un tale senso di solidarietà da una teen-ager.
"Come sono decisi gli orari", chiedo. "Con l'assemblea", risponde. "Prima dell'inizio di ogni periodo scolastico analizziamo com'è andato quello precedente, decidiamo quali materie vogliamo studiare nei gruppi di lavoro e come dovrebbe essere organizzato l'orario. Deciamo anche i gruppi di lavoro in assemblea".
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L'organo centrale della scuola sono le assemblee, ma quel che la gestisce a livello quotidiano sono i gruppi di studio e i comitati, tutti composti dai ragazzi. A parte i gruppi per la cucina e la pulizia, ci sono anche comitati che osservano la gestione della scuola. Chris, uno studente dallo Yorkshire di aspetto tipicamente inglese, che si è trasferito a Merida due anni fa e adesso ne ha dieci, mi dice che è nel comitato dei "soluttori", un lavoro che gli piace molto. "Devo stare in guardia per i problemi e i conflitti che vengono sollevati, mi dice, "e se c'è un problema intervengo e cerco di aiutare, se poi non riusciamo a trovare una soluzione convochiamo un'assemblea". Spiega che ci sono anche 'comitati di valori' il cui ruolo è studiare e valutare cosa quel che c'è al cuore della scuola, ossia i valori anarchici. Al vero cuore di quel che viene imparato e praticato a Paideia non c'è una conoscenza astratta, non date, fatti, storia e aritmetica - ma una serie di profondi valori umani. Questi valori sono il fondamento di tutto quello che accade - sono il programma della scuola. Invece delle tre R dell'educazione tradizionale [reading, 'riting, 'rithmetic = leggere, scrivere, far di conto, ndt] ci sono sette valori anarchici: solidarietà, giustizia, eguaglianza, libertà, non-violenza, cultura e soprattutto felicità.
I comitati dei valori sono composti da uno studente da ogni gruppo di età e cambiano ogni due settimane. Ci sono quattro gruppi di età nella scuola per i più grandi e ognuno ha un proprio nome e una classe: 5-7 anni 'gruppo ganzo', 7-8 anni 'tornado', 9-11 anni 'gruppo uno', 12-15 anni 'gruppo due'. I 'comitati dei valori' cambiano ogni due settimane e fanno rapporto all'assemblea generale.
Chris è nel bel mezzo di un gruppo di studio sulla storia. Non hanno lezioni, mi viene detto che queste suonerebbero troppo religiose e buttare la religione fuori dalla scuola è essenziale in un paese dove la Chiesa era la mano destra della dittatura fascista. Quali materie di studio vogliano affrontare nei gruppi di lavoro è deciso nell'assemblea generale all'inizio di ogni periodo scolastico, dove l'intera scuola riflette su come è andato quello precedente. Lo staff può suggerire una serie di 10 gruppi di lavoro, e la classe decide collettivamente cinque che vogliono fare. Il 'gruppo uno', quello di Chris, ha scelto di fare Storia, Inglese, Economia Globale, Grammatica e Arte.
Nei gruppi di lavoro non c'è un insegnante che sta in piedi davanti ad una lavagna, dinanzi a file di banchi. Ogni classe ha tutti i banchi spinti insieme per creare una grande tavola centrale attorno al quale si siedono gli studenti. Vanno avanti con il loro lavoro, si alzano per trovare un libro, scrivono appunti, occasionalmente lanciano una gomma ad un compagno di classe. Un insegnante, sebbene non siano mai chiamati come tali, ma solitamente con il loro nome o "gli adulti" si fanno vivi nelle classi di tanto in tanto per aiutare e scorrere il lavoro che stanno facendo dai libri.
Ogni studente fissa un impegno a fare un certo numero di progetti per ogni periodo scolastico. Si impegnano anche in quello che viene chiamato "lavoro intellettuale". E' un progetto deciso del tutto autonomamente, su qualunque materia vogliano. Compilano e firmano tutti un complesso documento di impegno all'inizio di ogni periodo, decidendo ognuno i loro impegni personali, che vanno da quanti progetti e libri di lavoro vogliano completare e di come riflettano i valori anarchici, quale lavoro collettivo faranno e a cosa si impegnano su un livello affettivo. Alla fine di ogni periodo valutano collettivamente i rispettivi impegni.
Chris sta facendo del lavoro sull'Impero Romano. Dopo due settimane si alzerà davanti alla sua classe e lo presenterà. Non ci sarà alcun voto. L'unica verifica formale è alla fine di ogni periodo scolastico: 'La Prueba Larga', un test che viene fatto uno ad uno con Pepa e riguarda tutto, dalla coordinazione motoria alla conoscenza generale. Non c'è voto, è solo un modo per lo staff di verificare lo sviluppo dei ragazzi.
Isabelle Fremaux & John Jordan
Fonte: http://www.utopias.eu/
Link
15.10.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org & http://scuolalibera.blogspot.com a cura di CARLO MARTINI
Sito di Paideia: http://www.paideiaescuelalibre.org/Index_bis.htm
Pubblicato da Carlo Martini alle 23:16 10 commenti
Etichette: non-scuole
ARRIVA IL BAMBINO A UNA DIMENSIONE
Francesco Codello
I sistemi educativi nelle società del primo mondo stanno formando nuovi soggetti. Adatti alle esigenze della new-economy e alla divisione internazionale del lavoro. L'apprendimento deve quindi essere necessariamente e utilmente parcellizzato. Un processo che determina la formazione di una mente duttile, elastica, flessibile priva però di valori di riferimento e assoggettata a una funzione di dominio e potere che si regge sul proprio sull'assenza di principi come la libertà e la diversità. Insomma, sta nascendo un nuovo dominio basato sulla centralità e sull'importanza della formazione strutturale dell'uomo. Questa è la riflessione che propone Francesco Codello, dirigente scolastico a Treviso e studioso dei problemi dell'educazione
Chiunque si accinga a riflettere sulla personalità infantile non può che constatare come progressivamente, ma decisamente, i ragazzi abbiano ormai uno sviluppo precoce di tutte le abilità cognitive. Bambini e ragazzi di entrambi i sessi, infatti, presentano una spiccata maturazione della sfera razionale e logica della loro personalità che interessa soprattutto l'ambito cognitivo e intellettuale. Questo fatto incontrovertibile emerge chiaramente da tutte le analisi, le osservazioni e gli studi psicologici, pedagogici, sociali che sono stati pubblicati in questi ultimi anni, ma anche dall'osservazione sistematica che genitori e insegnanti fanno quotidianamente nei vari contesti educativi.
L'intellettualizzazione dello sviluppo della personalità è ormai un dato incontrovertibile che evidenzia un abbassamento precoce e un anticipo dell'età nella quale ogni bambino sviluppa performance intellettive. Tutta l'organizzazione sociale dell'infanzia ruota attorno a questa impostazione: anticipo dell'età della scolarizzazione ai tre anni; organizzazione del tempo libero improntata a un «arricchimento delle opportunità formative»; invasione pressante della tecnologia audio-visiva tanto da provocare una diffusa intossicazione tecnologica [l]; decisa impostazione pedagogica dei programmi e dei curricoli scolastici in senso cognitivo-efficientista; frammentazione sistematica delle modalità di insegnamento e ricerca di modelli organizzativi della didattica che rispondano a criteri di produttività; intera organizzazione del sapere scolastico improntata a una logica economicistico-industriale; filosofia del tempo come opportunità di accumulazione di nozioni ed esperienze intellettive; assenza di spazi e tempi nei quali non vi sia presenza organizzata di adulti; radicale espulsione di fatto da ogni esperienza formativa di attività pratiche, manuali e corporee; progressiva trasformazione della famiglia da luogo deputato all'educazione (autoritaria) a nucleo di assimilazione e consumo.
Questo quadro produce inevitabilmente la nascita del bambino a una dimensione, quella cognitivo-intellettiva appunto, contribuendo in maniera decisiva alla formazione di personalità assolutamente disarmoniche e settoriali contraddicendo completamente ogni assunto libertario sul tema dello sviluppo della personalità.
Inoltre le tendenze sopra enunciate fanno cadere vertiginosamente un'altra caratteristica forte della concezione libertaria dell'educazione, vale a dire lo sviluppo dell'autonomia individuale che rappresenta l'elemento essenziale della libertà.
Infatti possiamo constatare che bambini e ragazzi si distanziano sempre più da una propria autonoma personalità, da un individuale stare al mondo, da un distacco esistenziale e conscio dalla massificazione. Ciò si manifesta in vari modi, come ad esempio nel prolungamento della permanenza in casa fino a età più avanzate, nella perdita di abilità e competenze elementari, nella dipendenza da modelli e comportamenti determinati non più dalla famiglia ma sempre più spesso dal gruppo, o meglio dal «branco» [2], in un crescente e spaventoso aumento di problematiche di tipo relazionale fin dalla tenera età che sostituiscono quelle di tipo cognitivo.
Questa anticipazione dello sviluppo cognitivo unitamente alla progressiva esclusione degli altri aspetti della personalità forma individui monodimensionali che ben si inseriscono però nel contesto socio economico e culturale dei Paesi post-industriali del nord del mondo e nell'occidente capitalista. Il processo di globalizzazione, che altro non è se non un nuovo feudalesimo culturale, si fonda proprio sui presupposti della divisione internazionale del lavoro conseguenza logica del primato della conoscenza intellettiva su quella operativa.
L'apprendimento dell'apprendere
Nell'era dell'accesso [3] lo sviluppo del sistema scolastico non può non essere, nei Paesi dominanti, che indirizzato e coerente con la logica sistemica generale della parcellizzazione delle conoscenze, la specializzazione spinta e la mancanza della produzione e della capacità di un pensiero di massa che sia «globale» [4]. Al contempo all'interno di questi Paesi l'apprendimento viene sempre più visto, non solo come necessariamente e utilmente parcellizzato, ma anche come «apprendimento dell'apprendere». La meta-cognizione quindi costituisce l'elemento fondante dell'intero sistema psico-pedagogico strumentale allo sviluppo della società in termini di globalizzazione. Questo fatto, di per sé interessante ed essenziale in una logica libertaria, diventa all'interno dell'intero sistema generale, un'abilità logica raffinata sulla quale selezionare le intelligenze e le conoscenze della nuova classe intellettuale che dirige e sposta, dispone e ipotizza, il lavoro intellettuale dei Paesi ricchi, creando così un nuovo e più sottile sistema di selezione [5].
Il pensiero unico che accompagna la globalizzazione del sistema mondiale costituisce l'inevitabile corollario dell'unicità dei valori dominanti, del trionfo del post-capitalismo e della nuova rivoluzione internazionale che fonda il nuovo feudalesimo culturale. Questo pensiero fondato esclusivamente sull'esperienza cognitiva e intellettuale domina nelle società privilegiate e si trasforma in quelle dell'esclusione in pensiero unico fondato sull'esperienza manuale e/o corporea. Il sistema qui esposto naturalmente si ripercuote in ugual modo anche all'interno delle singole società riproducendo però uno schema di divisione in classi che si basa anche sulla variabile geografico-ambientale. Un elemento tutt'altro che secondario analizzato da Pëtr Kropotkin ed Elisée Reclus. I due pensatori anarchici hanno infatti dimostrato come la divisione gerarchica del lavoro e la formazione delle classi sociali dipenda in modo considerevole dalla discriminazione ambientale, vale a dire che il contesto geografico marginale, rispetto a un centro, produce una nuova e più sottile differenziazione e determina una ulteriore divisione fondata sulla collocazione geografica. Un lavoratore dipendente di un Paese ricco guadagna molto di più e si garantisce una qualità della vita migliore di un pari o maggiore collega di un Paese povero.
Lo stesso ruolo dell'insegnante viene modificato da questo processo producendo uno spostamento radicale delle sue funzioni sociali. La scuola, in virtù della precoce scolarizzazione, diventa sempre più l'istituzione totale per eccellenza, assumendo sempre più il ruolo di contenitore esclusivo del processo istruttivo. Lo schema logico su cui si fonda l'istituzione-scuola viene riprodotto in tutto l'associazionismo che si occupa di dare contenuti al tempo dei bambini e dei ragazzi. L'esperienza dominante e tipica si risolve nella scuola in apprendimento intellettivo e astratto, in spazio di consumo e fruizione di conoscenze e nozioni, in unicità e settorialità di sviluppo della personalità.
Da questo approccio esclusivo nascono e si amplificano i disturbi di personalità, le dissociazioni logiche e relazionali che rappresentano ormai la quotidianità e la regola in tutti i contesti sociali giovanili.
L'insegnante, l'educatore, diventa pertanto sempre più tecnico specifico di una disciplina, incapace e impotente di fronte al disagio sociale che i ragazzi manifestano, che le famiglie globalizzate producono.
Ha perso completamente la sua funzione sociale o di selezionatore della nuova classe dirigente o di coscienza critica, di intellettuale disorganico della società.
L'economia della conoscenza
La scuola deve formare la «risorsa umana», che in quanto riconosciuta e definita come tale, viene assimilata alle altre «risorse» e acquisisce pertanto lo stesso valore e poiché il termine di riferimento è passato dal capitale alla macchina intelligente intorno a ciò si gioca il suo futuro [6].
Come giustamente rileva Jeremy Rifkin [7] l'economia è ormai economia della conoscenza nel senso che questa diviene la risorsa principale della new economy, fatta di imprese sempre più virtuali, nelle quali la sempre maggior produzione di ricchezza esclusiva passa attraverso la fine del lavoro opprimente e manuale (per la parte delle società dominanti). Ciò (contrariamente a quanto sostengono gli ottimisti sostenitori delle virtù dello sviluppo tecnologico [8], che pure ci sono) porta in una società classista in un mondo feudalizzato, alla formazione di una nuova alienazione di cui l'esempio più sconcertante è costituito proprio dal bambino e dal ragazzo a una dimensione.
La risorsa intellettuale, da una parte, e quella manuale, dall'altra, sono ormai strumenti al servizio della redditività del potere di una nuova classe intellettuale di proprietari immateriali [9]. Inoltre occorre tener presente che le conoscenze cambiano e raddoppiano circa ogni cinque anni producendo un frenetico tempo di consumo del sapere e pertanto soltanto chi possiede una capacità meta-cognitiva è in grado di pensarsi o come dominatore o come contestatore.
Questo sapere esclusivo diventa dunque il veicolo e lo strumento per la formazione del privilegio: padroneggiare e commercializzare le intelligenze, vale a dire il «saper sul sapere», «saper sapere». In altre parole andare al di là della conoscenza acquisendo una struttura metodologica che consenta di imparare ad imparare, determina la formazione di una mente duttile, elastica, «flessibile» priva però di valori di riferimento e assoggettata a una funzione di dominio e potere che si regge proprio sull'assenza di principi come la libertà e la diversità.
Insomma un nuovo dominio viene formandosi basato sulla centralità e sull'importanza della formazione strutturale dell'uomo a una dimensione, quella della razionalità del sistema, sottile e profonda, tanto da mutare anche le strutture della formazione del pensiero (basti pensare al ruolo della formazione iconica e delle immagini nel processo di modificazione della percezione e dell'assimilazione).
Vale la pena sottolineare come questo impianto sociale produca, accanto a quanto esaminato, anche sul piano dei valori l'affermarsi del valore della tolleranza, che diventa indispensabile perché ideologicamente tutto si tenga, vale a dire l'accettazione passiva dell'altro. Non certamente la solidarietà, che implica esattamente il contrario della passività. Ed è quello che invece ai libertari interessa.
Francesco Codello, Treviso, gennaio 2001
riferimenti bibliografici
1. John Naisbitt, High tech e rapporti umani, Franco Angeli, Milano, 2000
2. Judith Rich Harris, Non é colpa dei genitori, Mondadori, Milano, 1999
3. Jeremy Rifkin, L'era dell'accesso, Mondadori, Milano, 2000
4. Thomas L. Friedman, Le radici del futuro, Mondadori, Milano, 2000
5. Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano, 1995
6. Riccardo Petrella, Educazione e formazione: le cinque trappole, in Libertaria, n.2/2000
7. Jeremy Rifkin, L'era dell'accesso, op.cit.
8. Thomas L. Friedman, Le radici del futuro, op.cit.
9. Kevin Bales, I nuovi schiavi, Feltrinelli, Milano, 1999
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Viene qui riprodotto per gentile concessione del suo autore.
Link: http://web.ticino.com/giovannigalli/codello.htm LEGGI IL RESTO DEL POSTPubblicato da Carlo Martini alle 22:55 0 commenti
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domenica 13 gennaio 2008
SUMMERHILL: LA SCUOLA PIU' FELICE DEL MONDO
Dal libro: "I ragazzi felici di Summerhill" di Alexander Neil ed. Red
Summerhill è la scuola fondata nel 1921 nelle vicinanze di Leiston (a cento miglia da Londra) da Alexander Neil e da sua moglie.
La scuola è frequentata da ragazzi dai cinque anni fino a quindici o sedici che generalmente provengono da paesi stranieri. Gli alloggiamenti sono in base all'età e ad ogni gruppo è preposta un'assistente, però oltre a non subire alcuna ispezione alle camere nessuno li sorveglia, vengono lasciati cioè completamente liberi di fare quello che desiderano. Le lezioni sono facoltative, i bambini possono frequentarle o farne a meno, anche per anni, se così desiderano; esiste un orario ma vale solo per gli insegnanti.
Quelli che vengono a Summerhill fin da piccoli seguono le lezioni senza problemi di alcun genere, mentre quelli che provengono da altre scuole giurano di non frequentare mai più quelle bestiali lezioni. Giocano, vanno in bicicletta, stanno fra i piedi del prossimo, ma stanno alla larga da ogni lezione; il periodo necessario a superare questo odio è proporzionale al disgusto che è rimasto dall'ultima scuola frequentata, in media tale periodo è di tre mesi.
A Summerhill non esistono i compiti in classe e per tutto il corpo insegnante gli esami di ammissione all'università sono una maledizione, però non possono rifiutarsi d'insegnare ai ragazzi che lo desiderano le materie richieste per accedere appunto alle varie facoltà.
Summerhill forse è la scuola più felice che ci sia al mondo. Non ci sono scansafatiche e i casi di nostalgia per la propria casa sono rari, raro anche che i bambini si picchino e litighino fra loro, perché i bambini cresciuti nella libertà hanno molto meno odio da sfogare di quelli repressi. Dall'odio nasce l'odio e dall'amore nasce l'amore. Amore significa mantenere un atteggiamento positivo di approvazione e questo è essenziale in qualsiasi scuola, non si può essere dalla parte dei bambini e contemporaneamente punirli e spaventarli. A Summerhill i bambini sanno che il loro modo di agire viene rispettato, e tutti hanno gli stessi diritti. I bambini fanno amicizia con gli sconosciuti più facilmente se non sanno cosa sia la paura. La riservatezza inglese è, in fondo, solo paura: ecco la ragione per cui le persone più riservate sono anche le più ricche. E' importante comprendere che il bambino deve vivere la sua vita, non quella che i suoi ansiosi genitori pensano che dovrebbe vivere; le interferenze e i tentativi di guida da parte degli adulti producono solamente generazioni di automi. Non si può insegnare ai bambini la musica, o qualsiasi altra cosa, senza mutarli in qualche modo in adulti privi di volontà propria. In questo modo vengono trasformati in persone che accettano passivamente lo status quo, un'ottima cosa per una società che ha bisogno di impiegati che siedano senza protestare davanti a malinconiche scrivanie, di commessi senza personalità , di gente che salga automaticamente ogni mattina sul treno delle 8:30; una società, in breve, che si regge sulle deboli spalle di poveri ometti terrorizzati, di conformisti spaventati a morte.
Lo scopo della vita secondo Neil è la felicità, ed essere felici significa provare interessa per qualcosa. L'educazione dovrebbe preparare alla vita, in ciò la nostra cultura non ha avuto molto successo. La nostra educazione, la politica, l'economia portano alla guerra. Le nostre medicine non hanno vinto le malattie, la religione non ha abolito i furti e l'usura.
In famiglia il bambino viene continuamente ammaestrato dimenticando che, come gli adulti, imparano solo quello che vogliono imparare. Tutti i riconoscimenti, gli esami, i bei voti soffocano il libero manifestarsi della personalità: solo i pedanti sostengono che l'educazione si fa sui libri!
I libri, a scuola, sono la cosa meno importante; un bambino deve solo saper leggere, scrivere e far di conto, il resto deve essere tutto teatro, giocattoli, creta, pittura, sport, libertà. La maggior parte del lavoro che gli adolescenti fanno a scuola è puro spreco di tempo, di energia, di pazienza. Toglie al giovane il diritto di giocare, giocare, ancora giocare; mette teste vecchie sulle spalle giovani.
E' tempo di mettere in discussione l'attuale nozione scolastica di studio. E' dato per pacifico che un ragazzo debba imparare la matematica, la storia, la geografia, un po' di scienze, un po' di arte e una certa quantità di letteratura. E' ora di rendersi conto che il ragazzo nutre ben poco interesse per queste cose. Non si vuole denigrare l'istruzione, ma l'istruzione deve avvenire dopo il gioco; e lo studio deve avvenire deliberatamente condito con il gioco per renderlo appetibile. L'istruzione è importante, ma non per chiunque. Chi ha capacità creative impara quel che vuole imparare per impadronirsi degli strumenti che la sua originalità e il suo genio richiedono. Non si può sapere quali capacità creative vengano distrutte nella scuola dando tutta l'importanza all'istruzione. L'educazione superiore e le lauree universitarie non servono ad affrontare i mali della società: un nevrotico istruito non è migliore di un nevrotico privo di istruzione.
Link: http://www.disinformazione.it/summerhill.htm
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sabato 12 gennaio 2008
ALEXANDER S. NEILL - I RAGAZZI FELICI DI SUMMERHILL
sberla54
[articolo pubblicato su www.punk4free.org il 18.10.06]
L'esperienza della scuola non repressiva piu' famosa al mondo.
Questo libro non parla di punk. Ovviamente. Ma parla di qualcosa che sta sicuramente a cuore a tutti noi: la liberta'. La quale liberta' e' una delle necessita' prime per raggiungere o anche solo riuscire a riconoscere un'altra delle grandi utopie del mondo di sempre: la felicita'. E ne parla analizzando una tappa della vita a cui tutti siamo stati sottoposti, che tutti noi abbiamo dovuto in qualche modo subire, chi guadagnandoci solo tagli ed umiliazioni, chi portandosi a casa una qualche temporanea quanto illusoria soddisfazione da quattro soldi: la scuola, con la sua beneamata "formazione dell'individuo".
Alexander S. Neill era uno scozzese, nato nel 1883 in una buona famiglia, in cui il padre era un severo direttore scolastico all'inglese, e morto nel 1973; irreprensibile anarchico libertario con un background freudiano, egli eredita parte delle ideologie dell'educatore americano H. Lane. tra cui il totale rifiuto dell'autorita' nel campo dell'insegnamento.
A. S. Neill diede vita nel 1924, in Inghilterra, ad una scuola rivoluzionaria chiamata "Summerhill", sotto molti aspetti simile ad una comune, priva di qualunque tipo di autorita' e di gerarchia, dove le lezioni non erano obbligatorie e stava ai ragazzi, dai 6 ai 18 anni, decidere come impiegare il proprio tempo. Ogni alunno poteva decidere se e quali corsi frequentare, se passare il proprio tempo nei laboratori di meccanica, elettronica, falegnameria, arte, musica, giardinaggio, maglieria piuttosto che in classe ad imparare a leggere o in giardino a giocare a pallone. Non vi erano voti, ne' esami, ne' particolari riconoscimenti che mettessero un alunno al di sopra di un altro, come nelle frustranti classifiche a cui siamo abituati noi altri.
Ogni decisione collegata alla scuola ed alla vita sociale o di gruppo, comprese le eventuali "punizioni" (tra virgolette, perche' si trattava sempre di provvedimenti costruttivi) per le offese sociali veniva presa nell'assemblea generale del sabato sera, dove il voto di un bambino valeva quanto quello di un insegnante.
E tutto questo funzionava a meraviglia!.
Solamente una ragazza decise di oziare per 6 mesi, soffocata com'era dalla necessita' di sfogarsi dalla rigida disciplina impartitale nell'istituto di suore da cui veniva. Passati i 6 mesi imparo' a leggere e s'interesso' con gioia alle lezione che piu' l'interessavano.
Molti altri alunni mostravano un grande rapidita' d'apprendimento, anche dopo lunghi periodi di ozio: e' innegabile come imparare qualcosa sia piu' facile quando si studiano gli argomenti che interessano realmente piuttosto che doversi preoccupare di centinaia di nozioni inutili.
Neill si proponeva di plasmare la scuola attorno all'alunno, al contrario di quanto viene fatto nell'insegnamento tradizionale, e questo per sviluppare nei ragazzi la propria liberta' interiore e con essa il rispetto degli altri, tenendo sempre a mente la differenza fra liberta' e licenza, al fine di farne degli individui felici e soddisfatti della propria esistenza, pieni dei piu' svariati interessi e delle capacita' piu' disparate.
Ai giorni nostri noi tutti ci ritroviamo con un futuro incerto, buio, per certi versi triste e pieno di sacrifici; gli alunni di Summerhill ne uscivano sicuri delle proprie conoscenze e della propria personalita', arricchiti di quelle capacita' di base e di quella prontezza di spirito che gli avrebbe poi assicurato la soddisfazione personale in qualunque campo avessero deciso di impegnarsi, dal piu' misero al piu' celebre ed impegnativo.
Tutto cio' in netta contrapposizione con l'operato della scuola classica, che inculca nella testa degli alunni valanghe di nozioni di diverso genere, in gran parte destinate a svanire col tempo, al fine di farne uomini di successo.
E' difficile riuscire in poche righe a descrivere quanto fosse geniale e perfetta ma al tempo stesso incredibilmente semplice e naturale Summerhill. Per aiutarmi vi citero' i cardini fondamentali della metodologia di Neill, prendendoli dalla prefazione al libro scritta da Erich Fromm:
1 - Neill nutre una sicura fiducia "nella bonta' del fanciullo" e crede che il ragazzo medio non nasca codardo, automa senza anima, bensi' provvisto di un atteggiamento potenzialmente ricco di amore e di interesse per la vita.
2 - Lo scopo dell'educatore, lo scopo della vita, e' quello di lavorare con gioia e di trovare la felicita'. La felicita' secondo Neill significa provare interesse per la vita; o, con parole mie, il rispondere alla vita non solo con il cervello, ma con l'intera personalita'. Nell'educazione non e' sufficiente promuovere lo sviluppo intellettuale. L'educazione deve rivolgersi sia alla sfera emotiva sia a quella intellettuale. Nella societa' moderna riscontriamo una sempre maggiore distanza fra intelletto e sentimento. Le esperienze dell'uomo odierno sono in gran parte mediate dal pensiero e non riflettono una percezione di cio' che il cuore sente, l'occhio vede, l'orecchio ascolta. In effetti questa separazione fra intelletto e sentimenti ha condotto l'essere umano a uno stato mentale pressoche' schizoide che lo ha reso quasi incapace di percepire alcunche' in maniera autentica, immediata.
3 - L'educazione deve adattarsi alle capacita' e alle necessita' psicologiche del fanciullo, che non e' altruista. L'amore per lui non e' il sentimento maturo dell'adulto. E' un errore attendersi da lui un comportamento che egli potrebbe dimostrare solo in maniera ipocrita. L'altruismo si sviluppo solo successivamente all'infanzia.
4 - La disciplina imposta dogmaticamente e le punizioni provocano paura; dalla paura nasce l'ostilita'. Questa puo' anche non essere aperta e consapevole, ma in ogni caso paralizza la spontaneita' e l'autenticita' dei sentimenti. L'indottrinamento disciplinare continuo e' nocivo per i fanciulli e ne blocca lo sviluppo psichico.
5 - Liberta' non significa licenza. Questo importantissimo principio sottolineato da Neill, significa che il rispetto per l'individuo deve essere reciproco. Se un insegnante non ha il diritto di usare la forza nei confronti del fanciullo, questi, da parte sua, non ha il diritto di usarla nei confronti dell'insegnante. Un bambino non deve imporsi a un adulto solo perche' e' un bambino, ne' deve usare i molti mezzi di pressione a sua disposizione.
6 - Strettamente congiunta a questo principio e' la necessita' di una sincerita' assoluta da parte dell'insegnante. L'autore dice di non aver mai mentito ad un bambino in quarant'anni di attivita'. Chiunque legga questo libro si potra' rendere conto che, lungi dal costituire una spacconata, questa affermazione non e' altro che la verita'.
7 - L'equilibrato sviluppo delle qualita' umane rende necessario, alla fine, che il bambino tagli i legami primari che lo uniscono ai genitori, o ai successivi sostituti che la societa' gli offre, e che divenga completamente indipendente. Egli dovra' imparare ad affrontare il mondo da individuo. Dovra' imparare a trovare la sua sicurezza non in un attaccamento simbolico, ma nella sua capacita' di afferrare il mondo intellettualmente, emozionalmente, artisticamente. Deve servirsi di ogni sua capacita' per trovare un rapporto con il mondo, piu' che per trovare la sicurezza nella sottomissione o nel dominio.
8 - I sentimenti di colpa hanno soprattutto la funzione di sottomettere il bambino all'autorita'. I sentimenti di colpa sono un intralcio sul cammino dell'indipendenza; provocano l'insorgere di un processo che oscilla continuamente fra ribellione, pentimento, sottomissione e ancora ribellione. Il senso di colpa, cosi' come e' vissuto dalla maggioranza degli individui nella nostra societa', non e' dovuto alla voce della coscienza, ma essenzialmente e' la sensazione di aver disobbedito all'autorita', con la conseguente paura della punizione. Non e' importante che questa sia fisica oppure che si realizzi in una privazione di affetto o che, semplicemente, faccia sentire l'individuo fuori posto. Tutti questi sentimenti di colpa fanno nascere la paura; e da questa nascono l'ostilita' e l'ipocrisia.
Quando sarete arrivati alla fine delle 170 pagine scarse di questo capolavoro avrete la prova di cio' che tutti sentivate dentro da sempre:
l'insegnamento tradizionale e' terribilmente sbagliato, inumano e dannoso. Esso non e' altro che il primo colpevole delle schifezze della nostra societa' e di noi esseri umani tutti, nella nostra follia e nel nostro perenne disadattamento.
Avrete le prove che un'umanita' migliore, piu' libera e piu naturale, non e' solo possibile ma e' anche semplice e divertente, mentre il mondo odierno e' frutto di costanti macchinazioni, repressioni ed indottrinamenti spesso al di la' della nostra immaginazione e della nostra paranoia.
Sia chiaro pero' che la lettura di "I Ragazzi Felici Di Summerhill" e' tutt'altro che pesante: il libro racconta in maniera leggera e spesso divertente le esperienze vissute da Neill con i ragazzi della scuola, infarcendo il tutto con le intuitive nozioni di psicologia su cui si basa gran parte dell'operato dell'autore.
In un certo qual modo potrei azzardare che questo libro aiuti a vivere meglio, dando coscienza dei perche' dei piu' elementari comportamenti dell'uomo in societa' e mostrando la gravita' di cio' che abbiamo tutti dovuto subire.
E' ovvio come l'operato di Neill rappresenti una grande rivoluzione cosi' com'e' tragicamente ovvio, per contro, che se dagli anni 70 ad oggi non si e' piu' vista una scuola come Summerhill e nel 2006 ancora si fatica a trovare in libreria le pubblicazioni di A. S. Neill, l'unico motivo plausibile e' da cercarsi nello scarso coraggio della nostra societa', nell'inesistente voglia di rischiare e di migliorarsi e nella cupa ingordigia dei bastardi che continuano a voler ridurre l'essere umano ad un mero ingranaggio della produzione mondiale.
A ingrigire ancora di piu' lo scenario, come fa notare anche il libro stesso, c'e' la palese osservazione che di uomini come Neill (e lo capirete voi stessi leggendo il suo operato) c'e' n'e' uno su un milione e di genitori decisi a rischiare il successo e la carriera dei propri figli in favore della loro felicita' semplicemente non ne esistono piu'.
Almeno fino a che qualcuno di noi non decidera' che e' giunto il momento di avere dei figli e di educarli alla liberta'.
Link: http://kernel-panic.noblogs.org/post/2007/02/28/alexander-s.-neill-i-ragazzi-felici-di-summerhill
Pubblicato da Carlo Martini alle 22:12 0 commenti
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ECCELLENTE SITO SULLA PEDAGOGIA LIBERTARIA
Segnalo la pagina di SocialismoLibertario.it dedicata alla pedagogia libertaria: è senza dubbio la miglior risorsa attualmente disponibile in italiano sull'argomento.
Per altro, ho saputo da uno dei curatori del sito in questione che due anni fa organizzarono un convegno su queste tematiche. Mi piacerebbe molto che si potesse ripetere l'iniziativa, a cui darei fin da subito il mio pieno sostegno.
Pubblicato da Carlo Martini alle 19:15 0 commenti
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HAPPIEST DAYS OF OUR LIFE + ANOTHER BRICK IN THE WALL (PART II)
The Happiest Days of our Lives (Waters) 1:20
When we grew up and went to school
There were certain teachers who would
Hurt the children in any way they could
"OOF!" [someone being hit]
By pouring their derisionUpon anything we did
And exposing every weakness
However carefully hidden by the kids
But in the town, it was well known
When they got home at night, their fat and
Psychopathic wives would thrash them
Within inches of their lives
Link: http://www.pink-floyd-lyrics.com/html/the-happiest-days-wall-lyrics.html
Another Brick in the Wall Part 2 (Waters) 3:56
We don't need no education
We dont need no thought control
No dark sarcasm in the classroom
Teachers leave them kids alone
Hey! Teachers! Leave them kids alone!
All in all it's just another brick in the wall.
All in all you're just another brick in the wall.
We don't need no education
We dont need no thought control
No dark sarcasm in the classroom
Teachers leave them kids alone
Hey! Teachers! Leave them kids alone!
All in all it's just another brick in the wall.
All in all you're just another brick in the wall.
"Wrong, Do it again!"
"If you don't eat yer meat, you can't have any pudding. How can you
have any pudding if you don't eat yer meat?"
"You! Yes, you behind the bikesheds, stand still laddy!"
Pubblicato da Carlo Martini alle 18:10 0 commenti
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DOWNLOAD
Ho aggiunto a destra una sezione Download.
Ringrazio:
- AltraOfficina, dalle cui pagine dedicate ad Ivan Illich ho tratto i libri "Descolarizzare la Società" e "Per una Storia dei Bisogni" (convertendoli da RTF a PDF).
- Gli Studenti Libertari di Napoli. Sul loro blog ho trovato i testi "Il falso principio della nostra educazione" di Max Stirner e "Avviso agli Studenti" di Raoul Vaneigem (già in PDF).
- ComeDonChisciotte per l'hosting dei file.
Pubblicato da Carlo Martini alle 17:21 0 commenti
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ANARCHOPEDIA
Anarchopedia è "un progetto per lo sviluppo di una enciclopedia multi-lingua, finalizzata a chiarificare teorie e pratiche del movimento anarchico nel suo complesso, ma anche a porsi in sé come esperienza anarchica di azione diretta. Infatti, essendo questo sito un wiki, chiunque può aggiungere nuove pagine o modificare le pagine esistenti".
Ho aggiunto Anarchopedia ai link, e in particolare la pagina relativa alla Pedagogia. Sarebbe cosa buona e giusta se qualcuno con più conoscenze e solerzia del sottoscritto volesse contribuire per ampliare quella ed altre pagine.
Pubblicato da Carlo Martini alle 16:07 0 commenti
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MARCELLO BERNARDI: UNA CINTURA NERA PER INSEGNARE A VIVERE
Data: 19 maggio 1998 Questo articolo è un'intervista di Daniela Condorelli a Marcello Bernardi noto pediatra e cintura nera di Judo, molto interessante per i genitori dei piccoli judokas e per i judokas stessi. Marcello Bernardi non è solo il guru della pediatria italiana, è un "judoista di rango" che ha imparato il primo comandamento del judo: dare, senza alcuna contropartita. Oggi, molti anni dopo aver segnato una svolta storica nella scienza dell'infanzia liberando il bambino dalle superstizioni che lo costringevano, vuole trasmettere un'esperienza meno nota ai genitori e ai suoi lettori. L'esperienza di Marcello Bernardi judoka. Di fronte a una società che si regge sulla trinità "successo, potere, soldi", Bernardi riflette sulla necessità di cambiare il mondo e propone uno strumento: l'arte del judo. Con la sua trinità: "corpo, mente, cuore". Nasce così il libra, scritto a quattro mani con il maestro di judo Cesare Barioli per Luni editrice (in libreria dal 22 maggio), Corpo mente cuore, un dibattito tra l'armata occidentale, descritta da Bernardi, e l'orda selvaggia orientale, sostenuta da Barioli. Perché il judo è uno strumento per cambiare il mondo. Nel libro io sostengo una tesi: che il mondo debba essere cambiato. L'uomo ha percorso, da sempre, la strada dell'avidità, dell'idolatria del denaro. Da quando l'umanità ha scelto il vitello d'oro, la parola d'ordine è "badare al sodo", all'imitazione di padroni e campioni, a far conti, a rafforzare la propria immagine, a guadagnare e a prendere. Il nostra corpo è diventato merce, la nostra mente si è trasformata in un registratore di cassa, il nostra cuore è stato imbavagliato. E il prezzo da pagare è la paura. Abbiamo paura di tutto: della sofferenza, della malattia, della morte, della povertà, della solitudine, del mondo. Per dirlo con le parole di Cesare Barioli: il cuore è lo spirito, l'anima, il centro di coscienza che può essere seppellito da un'educazione tendenziosa. La mente è un magazzino/strumento che archivia immagini; dovrebbe essere al servizio del cuore, ma in realtà è spesso influenzata dal corpo. Quest'ultimo è una comunità di cellule sotto il controllo del cuore. Nel judo, cuore, mente e corpo si unificano, cioè si concentrano su un principio morale che si sintetizza nel "migliore impiego delle energie" In che senso il Judo è uno strumento per educare? L'idea fondamentale alla base del judo è arrivare a dare incondizionatamente, senza nulla in cambio. "Tutti insieme per progredire", affermava il suo fondatore. Perché facendo judo miglioro me stesso per essere utile agli altri. Il judo è una strada per arrivare a questo, perché permette di conquistare il vuoto della mente e quindi di entrare in sintonia con il cuore. Dopo anni di parcellizzazione del bambino e della pediatria, la nuova generazione di pediatri sta recuperando il senso clinico, cioè l'impiego della ragione. Sta recuperando la visione di insieme del suo piccolo paziente. E in questo sarebbe facilitata dalla pratica del judo, che io suggerisco a tutti i giovani pediatri. Lei scrive: "nella mia vita ho imparato metà dai bambini e metà dal Judo. Il bello è che ho imparato le stesse cose da entrambe le parti". É vero. Da quando ho iniziato a fare il pediatra, cinquant'anni fa, avrò visto venti, trentamila bambini. Ho cercato di osservarli, di capire la loro realtà, la profondità del loro dolore, la loro benevolenza. Ho vista un bambino rincorrere uno scorpione per accarezzarlo, e un altro (era maggio del '45 in un paesino di rifugiati prima dell'arrivo degli americani) dare del pane ad un cane de!le SS addestrato ad uccidere. I bambini sono leali, sinceri, generosi, non hanno paura, non conoscono la viltà; siamo noi che con la pretesa di "educarli", insegnamo loro ad aver paura, ad essere vili, a diventare furbi. Dal judo ho appreso la sincerità, l'armonia, la decisione, il coraggio, il rispetto. Pensiamo al senso del colore della cintura: non è un grado, una gerarchia, ma un segnale di rispetto, un avvertimento sulla preparazione di chi la indossa. Di fronte ad una cintura gialla o marrone, so come comportarmi, cosa posso o non posso fare. Il judo insegna la generosità, elimina l'astio, il rancore, l'ansia di vincere. Il bambino prima di tutto, il bambino al centro. È questa la grande svolta della pediatria di cui Marcello Bernardi è stato promotore. Quarant'anni fa il bambino era un oggetto. Lo è ancora, ma c'è una differenza: è cambiata la collocazione. Era un oggetto da tutelare e far crescere uguale agli altri, omologato; ora è esattamente la stessa cosa, ma è stato messo su un piedistallo come.un feticcio. Il bambino di oggi è uno status symbol: per lui si vogliono i migliori vestiti e le migliori scuole, lui deve essere il più nutrito, il più bello. Si può essere disposti a dare la vita per lui, ma rimane pur sempre un oggetto. L'idea che sia una persona con diritti più grandi di quelli degli adulti e con doveri irrilevanti (perché ha pochi strumenti a disposizione), non ci sfiora. I genitori dimenticano troppo spesso di essere solo la "freccia che lancia i propri figli verso case future che neppure in sogno potranno visitare". Dimenticano che il mestiere del bambino è andare verso il mondo e il loro è aiutarlo ad andarsene. Come svolgerlo, allora, questo difficile mestiere? Fare i genitori significa uscire da se stessi, non contare più come persona. Abbiamo dato vita a un nuovo essere e siamo totalmente al suo servizio. Il genitore è prima di tutto un modello di cui il bambino ha bisogno, in cui crede ciecamente (gli esperti parlano di "fiducia primaria"). Per il bambino, tutto quello che il genitore fa è sacrosanto, "deve" essere fatto così. Ma sono i comportamenti quotidiani che contano: le nostre amicizie, i nostri gusti, i nostri atteggiamenti educano. Non ho mai vista un maestro di judo mettersi in cattedra a emanare leggi e regolamenti. No, vive sulla materassina, mostra, fa vedere. Che ruolo hanno l'obbedienza, le regole? Nessuno. Aveva ragione Don Milani: l'obbedienza non è una virtù. Mi pare piuttosto che sia un'abdicazione alla propria dignità, alla qualità di esseri umani. Una forma di alienazione da se stessi. Perché quando c'è è suggerita dalla paura. Di essere abbandonati, disapprovati, puniti. L'obbedienza implica omologazione, un mostro che incombe anche sulla scuola dove sopravvive la convinzione che l'obbedienza sia una virtù. L'educazione è uno scambio, un modo di esistere, di fare, di affrontare la vita. La vera scuola non è quella, grottesca, fatta di programmi uguali per tutti e dl classificazione, in cui non si va per ricevere, ma per diventare primo della classe. Il sistema scolastico, così come è strutturato oggi, è valido solo per creare egoisti. Non dimentichiamo che il mondo sociale del bambino non è per lui uno dei mondi possibili, ma l'unico. Così il primo della classe o l'asino dovranno mantenere con ogni mezzo il loro rango. Il primo sarà perciò indotto a recitare sempre la parte del "superiore" e il secondo a ricorrere a ogni truffa pur di sopravvivere. É la cosiddetta teoria dell'etichettamento in cui tutte le energie sono convogliate per tenere in vita il personaggio definito dall'etichetta. Un'ottima introduzione al più spietato egoismo. Passiamo alle regole. Sono uno strumento per convivere civilmente, ma non vedo come possano avere a che fare qualcosa con l'educazione che si vale di ben altri strumenti come l'affetto, il rispetto, la libertà. Questo non vuol dire che le norme vadano escluse, ma che ne vada esclusa l'imposizione, questo sì. Ci sono alcune norme tecniche inevitabili (il bambino non può giocare sul davanzale del balcone all'ottavo piano), ma non educative. L'importante è che non diventino antieducative. Che non costituiscano cioè una minaccia, un ricatto affettivo, un'imposizione e, soprattutto, che non siano troppe o ripetute troppo spesso. Anche di parole ci può essere inflazione: quando sono troppe, non valgono più nulla. Link: http://www.scuola-judo-tomita.com/dojo/articoli/archivio001/art001.htm
Pubblicato da Carlo Martini alle 15:53 0 commenti
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domenica 6 gennaio 2008
"L'INFANZIA E LA DEMOLIZIONE DELLA LIBERTA'"
L'addio a Marcello Bernardi: un'intervista del 1997
"Ogni bambino è un principe della luce che poi con l'educazione diventa una sorta di cretino"
di FABIO DE SANTI
Così scrive Marcello Bernardi, noto medico, pediatra ed educatore libertario, propugnatore di un nuovo modo di intendere il rapporto genitore bambino, nel suo saggio «I tre nemici» apparso sul libro «Il bambino fra autorità e libertà» publicato dai tipi dell'Eleuthera. Un saggio in cui Bernardi affronta, tra l'altro, anche il tema dell'educazione del bambino nel suo rapporto con la scuola, gli insegnanti-educatori, in una prospettiva che non può essere che fortemente critica.
Una posizione che ci siamo fatti spiegare da Marcello Bernardi che abbiamo raggiunto al telefono nella sua abitazione di Milano.
In questo periodo si fa un gran parlare di scuola pubblica e privata dimenticando probabilmente il ruolo della scuola nell'ambitodell'educazione del bambino. Qual è a suo avviso la situazione in questo momento in Italia?«Decisamente negativa. La scuola è rimasta ai livelli del fascismo: tanta burocrazia, voti, compitini, pagelle, ma soprattutto feroce competizione fra i bambini. Il contrario insomma di quello che dovrebbe, a mio avviso, essere la scuola cioè un luogo di socializzazione fra bambini, di crescità, di rispetto della libertà del singolo».
Tutta colpa degli insegnanti?
«Assolutamente no. Ci sono molti insegnanti in gamba che nonostante i meccanismi di sopraffazione messi in azione dal sistema scolastico cercano di avere un rapporto diverso con gli alunni, di incuriosirli durante le lezioni.Cercano cioè di favorire l'unione, l'amicizia, il vero rispetto fra i compagni e non certo il sistema deleterio della competizione».
Lei vede qualche possibilità concreta di cambiamento in quella sorta
di moloch che è la scuola?
«E' difficile immaginarlo in questo momento. La cosa importante per un progressivo cambiamento delle cose è che l'insegnante capisca di non essere un burocrate ma una persona. Anzi non solo una semplice persona ma colui che spesso esercita un ruolo fondamentale,come esempio e punto di riferimento, per il bambino al di fuori dell'ambito familiare».
Molti educatori affermano che oggi è più difficile confrontarsi con i bambini, diventati più esigenti, viziati e finanche cattivi...
«Sono luoghi comuni e per giunta calunniosi proprio nei riguardi dei bambini! I bambini di oggi non sono certo diversi, nel bene e nel male, dai bambini di dieci o venti anni fa. Sono però, e questo è certo, decisamente frastorati e disorientati. I bambini sono insicuri, perchè sentono sempre più l'assenza psicologica dei loro familiari e anche degli insegnanti. Mancano cioè di quei punti di riferimento fondamentali per la loro crescita».
E il ruolo dei genitori?
«Purtroppo i genitori trascurano quella che io definisco "strategia dell'attenzione". Danno cioè grande attenzione agli aspetti materiali, ricoprendo quando possono i figli di regali, di cose appunto materiali, ma non danno loro quell'attenzione di cui i bambini hanno disperato bisogno. Accanto a questo riversano, cosa ancor più deleteria, le loro ambizioni sui figli ponendoli in competizione con altri bambini per essere migliori, più bravi...».
Questo si inserisce anche nel rapporto con la scuola?
«Certo perché i genitori o non hanno tempo, soffocati dai ritmi di vivere di questa nostra società, o non vogliono avere contatti con la scuola. Per questo i ragazzi vengono abbandonati spesso nelle mani di insegnanti che non sono all'altezza del loro compito. E'una situazione difficile».
Ci sono vie d'uscita?
«Vorrei ricordare ai genitori le parole di un famoso pedagogo olandese: "ogni bambino è un prinicpe della luce che poi con l'educazione diventa una sorta di cretino". In tanti anni di lavoro mi è capitato di vedere molti ragazzini, quasi tutti, dotati di immaginazione, coraggio, sete di conoscere, e pochi, quasi nessuno, provvisti della virtù di quell'obbedienza cieca, pronta e assoluta che molti educatori e genitori vorrebbero. Ma poi, mediante l'educazione, sono stati corretti, svuotati, di immaginazione e di coraggio e riempiti di obbedienza. Voglio dire che bisogna fare
in modo che ogni persona, anche in età infantile, sia libera di essere ciò che è e non subisca quel processo di smantellamento della libertà a cui tutti continuiamo ad essere sottoposti».
nato a Rovereto nel 1922.
Per ricordare un protagonista della cultura libera in Italia, riproponiamo questa intervista che risale al 1997 e che si trova nel nostro sito da circa un anno.
Nell'intervista, Bernardi analizza il rapporto fra i bambini e le agenzie educative - prime fra tutte scuola e famiglia - rilevandone i gravi difetti e offrendo una ricetta che si richiama alla pedagogia libertaria.
- Fra i libri di Marcello Bernardi ricordiamo il recente "L'infanzia tra due mondi", edito da Fabbri nell'ottobre 2000; "Conversazioni con Marcello Bernardi. Il libertario intolerante", edito da Elèuthera a cura di Roberto Denti; "Gli imperfetti genitori"; "L'avventura di crescere"; "La maleducazione sessuale"; "Educazione e libertà"; "Il nuovo bambino"; "Il figlio facoltativo"; "Il problema inventato"; "Adolescenza".
(9 gennaio 2001)
Pubblicato da Carlo Martini alle 13:12 0 commenti
Etichette: infanzia, Marcello Bernardi
sabato 5 gennaio 2008
L'INFELICITA' DI BAMBINI POCO LIBERI E DI EDUCATORI SOCIALMENTE CORRETTI
(Zenone Sovilla, 15 marzo 2000) Già, tanto sono “difficili” questi bimbi che anche la falsa libertà che ritroveranno da adulti talora viene negata loro da piccoli e riemergono nella scuola tentazioni vagamente autoritarie per tenerli a bada, ferree definizioni gerarchiche dei ruoli maestro-alunno. Non c’è altro da fare, sono bimbi così “difficili”, gli dai un dito e si prendono il braccio: l’auto-difesa del singolo educatore, debole e frustrato, è scontata. Rimane un dettaglio: “Non esistono bambini difficili, solo bambini infelici" (A. S. Neill, Summerhill School). Allora, se di fondo c’è davvero l’amore per la vita, a un infelice si dovrebbe donare un po’ di felicità, non dure dosi di ansia e paura. Si può discutere, al limite, se libero sia felice (noi crediamo di sì...). Ma è urgente almeno tentare questa via della libertà autoresponsabile. Se la scuola e i suoi soggetti sono lì per lasciar crescere l’infanzia libera e consapevole, se ancora esiste un'idea di onestà intellettuale, non sembra troppo pretendere magari non ardue risposte perfette qui e ora ma almeno che davanti al disagio si affronti la fatica di cercare altre strade: “Un genitore serio non sa cos’è un genitore: se lo sa non è più serio - un professore serio ha molti dubbi sul suo ruolo: se non ha dubbi è pericoloso» (padre Enersto Balducci). A che cosa servono, altrimenti, esperimenti riusciti come la scuola libertaria di Neill (Summerhill), o Tolstoj, Ferrer, Illich, gli asili di Reggio Emilia, don Milani e tutto il resto? Certo, siamo in un circolo vizioso, la complessità è disarmante, la catena dura da spezzare. Ma da qualche anello si può cominciare? C’è qualcuno disposto a uno sforzo supplementare di assunzione di responsabilità? In questa grande battaglia per i diritti fra pubblico e privato resta traccia di un qualche dovere etico? “Nessuno educa nessuno, gli uomini si educano insieme” (Paulo Freire).
Lo sapevate che i bambini sono sempre più cattivi, intrattabili, irrispettosi dei grandi? Sempre più “difficili”?
Probabilmente, lo sapevate, È’ una storia che si sente in giro; anche se bambini non si hanno.
Famiglie improbabili, tripli lavori, tempi sociali che soffocano i tempi biologici, televisione, spazi precari di incontro con l’altro. Forse tutto ciò frammisto anche a uno spontaneo e inconsapevole moto “illuminato” di genitori postmoderni che non vogliono opprimere i figli ma non trovano la misura adeguata. Alla fine, se non ricorrono a tragici clichè autoritari, facendo danni anche peggiori, si rassegnano al disarmo pedagogico, alla disattenzione verso i bisogni reali dei bambini che identificano invece nelle forme dell’avere (cioè in una manifestazione superficiale di una domanda d’altro).
Risultato: bambini “difficili”.
Con i quali, poi, deve fare i conti innanzitutto la scuola. Che pare disorientata più dei bimbi smarriti che si trova di fronte. Barcolla, sembra, anche un certo approccio “progressista” sintetizzabile nella formula "se non puoi liberare il bambino, almeno faglielo credere". Viene in mente Fromm: "Il nostro sistema economico deve creare individui adeguati alle sue necessità, che vogliano consumare sempre di più. Ha bisogno di individui che credano di essere liberi e indipendenti ma che, ciò nonostante, si comportino così come ci si aspetta da loro, uomini che si inseriscano senza attriti nella macchina sociale, che possano essere guidati senza ricorso alla forza”.
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venerdì 4 gennaio 2008
CHIUDIAMO LE SCUOLE
Di Giovanni Papini - 1 Giugno 1914
Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto - contro la morte - contro lo straniero - contro il disordine - contro la solitudine - contro tutto ciò che impaurisce l'uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.
Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi - in città e in campagna e sulle rive del mare - davanti a' quali non si passa senza terrore.
Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all'immobilità, all'abbruttimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po' di ricchezza a' fratelli più ricchi o diminuirono d'improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Non m'intenerisco sopra questi uomini ma soffro se penso troppo alla loro vita - e alla qualità e al diritto de' loro giudici e carcerieri. Ma per costoro c'è almeno la ragione della difesa contro la possibilità di ritorni offensivi verso qualcun di noialtri.
Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potete chiamarli - con morali e codici in mano - delinquenti ma quest'altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall'utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?
Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere…
Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano.
Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali. Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente!- la scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori. Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi.
Quali? Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera".
Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare
impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose. Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena.
Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli.
Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non ci pensiamo più.
L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà.
Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!) Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi.
Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento. Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili - e l'annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi.
Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie [sic!]; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.
Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia!
L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione. Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé. Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene - e non tutti ci arrivano. Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati. Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico. Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo dall'alto.
Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi" scolari.
(I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi" della classe.)
La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo.
Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il tempio delle nuove generazioni e i manuali approvati sono i sacri testamenti della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il saggio di Hazlitt sull'Ignoranza delle persone istruite, che comincia così: "La razza di gente che ha meno idee è formata da quelli che non son altro che autori o lettori. E' meglio non saper né leggere né scrivere che saper leggere e scrivere, e non essere capaci d'altro". E più giù: "Chiunque è passato per tutti i gradi regolari d'una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d'averla scappata bella".
Credo che pochissimi potrebbero - se sapessero giudicarsi da sé - vantarsi di una tal resistenza. E basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia la media intelligenza de' nostri impiegati, dirigenti, professionisti e governanti per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se cìè ancora un po' d'intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra gli analfabeti. La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari ma anche i maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio - e non è dir poco. Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati che muovon le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di aver qualche lira di più tutti i mesi! Si parla dell'educazione morale delle scuole.
Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari è questa: serviltà apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni. L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine.
Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. Asili e giardini d'infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie; scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d'applicazione; politecnici e magisteri.
Dappertutto dove un uomo pretende d'insegnare ad altri uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative.
Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più salute e più gioia.
L'anima umana innanzi tutto. E' la cosa più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato.
Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli.
Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l'imbecillità e per la morte.
Link: http://studentilibertari.blogspot.com/2007/08/chiudiamo-le-scuole.html
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giovedì 3 gennaio 2008
COME ORGANIZZARE UN ASILO LIBERTARIO
1 Realizzare un progetto educativo-ideologico-didattico
2 Conoscere le caratteristiche psicologiche nei/ nelle bambini/e di quest'età
3 Conoscere (informandosi) le caratteristiche specifiche delle famiglie d'origine dei bimbi/e:
- livello socioeconomico
- livello d'istruzione
- ideologia
- in cosa credono
- che aspirazioni hanno per il proprio figlio/a
- le esperienze scolastiche che hanno avuto: sia positive che negative
4 Pensare e determinare il metodo educativo:
- Permissivo
- Democratico
- Antiautoritario
- Direttivo
5 Determinare il metodo di maturazione delle facoltà intellettive:
- Individualizzato
- Personalizzato
- Collettivo
6 Definire i valori ed i principi che si vogliono trasmettere
7 Specificare la struttura generale dell'asilo:
- autoritaria/gerarchica
- autogestita
- democratica/gerarchica/per delegazione
8 Specificare le responsabilità che si accetteranno secondo le necessità educative, le attidudini e le preferenze del gruppo di educatori/trici
9 Concretizzare in che modo ci si manterrà a livello economico. Preparare un progetto contabile-economico
10 Determinare l'orario di lavoro, sia dentro che fuori dall'asilo, come le assemblee e la dinamica educativa
11 Fare uno sforzo di introspezione per cononoscere le proprie esperienze nel tipo di educazione ricevuta, per non ripetere metodi e situazioni negative
12 Essere coscienti delle proprie limitazioni e degli errori che commettiamo dati dalla struttura autoriataria che possediamo. Sviluppiamo la capacità e la flessibilità per accettare i propri errori e impariamo a correggerli
13 Studiamo ed investighiamo costantemente per saperne di più su quelle scuole libere che hanno avuto importanza nella storia contemporanea
14 Concretizziamo ciò che vogliamo fare e come lo porteremo a termine
15 Essere disposti/e a lavorare molto e a guadagnare poco
Link: http://isole.ecn.org/molino/cli/testi/organize.htm
Pubblicato da Carlo Martini alle 12:21 0 commenti
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